Tutto il potere del dialetto: Intervista a Viscardi.

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Nel corso degli anni più recenti, il panorama musicale nostrano sta rinnovando e rimpolpando lo spazio riservato all’utilizzo del dialetto nelle liriche. Due lati in netto contrasto caratterizzano l’utilizzo in musica di questa “lingua nella lingua”: quello più sofisticato della nostra tradizione culturale e della sperimentazione che fino ad oggi contribuisce a tenerla viva, e quello che vede il dialetto appartenere ai “bassi ranghi” del pop, inteso come “popolare” quasi in senso negativo – basti pensare al genere Neomelodico o a quella musica “da strada” che del dialetto non si è mai voluta “ripulire”, quasi esasperandone l’utilizzo per difendere un forte senso di appartenenza alle proprie umili origini. Che piaccia o meno, questa nuova ondata “dialettale” sembra esser figlia di un interesse crescente nei riguardi di un’idea di musica fortemente connotata, che ci svincola dalla lingua collettiva del Bel Paese e inaspettatamente ci avvicina con estrema facilità a sonorità internazionali.

E’ un rapporto particolare quello che l’Italia ha con i suoi dialetti, basti pensare agli anni del Fascismo e di come il regime imponesse la traduzione dei termini extra territoriali e dialettali, per poter raggiungere uno standard di “pulizia” della lingua italiana che contribuisse ad uniformare il paese sotto un solo colore. I dialetti, in quegli anni, erano fortemente designati dal potere come forme di ignoranza e per tanto da debellare. Contro questa rigidità ci fu una tangibile resistenza che nella tradizione musicale italiana è assai evidente, figlia anche di una profonda ricerca di espressione e di appartenenza. L’identità dialettale come sinonimo di resistenza ritorna, poi, verso la fine degli anni ’80, con l’idea di “idioma dialettale come contrapposizione al potere nazionale”. Il fenomeno delle Posse (fenomeno musicale sviluppatosi tra le discussioni dei centri sociali), dal latino “Possum” ovvero “Potere” ne è un chiaro esempio.

Per riassumere in poche parole: Il dialetto, nella storia e nell’arte, è stato un mezzo per poter combattere il potere politico ed economico, un grido dell’opposizione popolare. Radicato nel midollo spinale, è una lingua madre che ci regala tutta la libertà di un’espressione “viscerale”.

Appare necessario citare alcuni degli interpreti e autori di spicco che hanno elevato la musica popolare a massima espressione libertaria e contribuito nei decenni a mantenerne viva la tradizione, come: Ernesto e Roberto Murolo, Eduardo Di Capua (e con l’oro tutta l’immensa tradizione della Canzone Napoletana), Ria Rosa, Renato Carosone, Domenico Modugno, Maria Carta, Rosa Balistrieri, Ettore Petrolini, Nino Manfredi e Gabriella Ferri; il più moderno (e padre artistico di molte nuove voci) Pino Daniele, Lina Sastri, Tosca Donati, Tommaso Piotta e l’attualissima Serena Brancale.

Ma i grandi nomi non sono i soli, e le retrovie musicali straripano di giovani che continuano a costruire un futuro musicale per le lingue regionali. In occasione dell’uscita di “My Lady” di Viscardi abbiamo voluto soffermarci sull’utilizzo del dialetto unito a sonorità attuali, che arrivano da culture estranee ma sembrano condividere gli stessi codici. L’intervista al cantautore campano ha cercato di metter in luce gli aspetti che caratterizzano il suo sound, così fortemente influenzato dall’R&B, dal Jazz e dal Soul. Abbiamo indagato le sue intenzioni per poter comprendere il modus operandi della sua ricerca stilistica, provando a far luce, così, tra identità e appartenenza.

Con “My Lady” vi è un vero e proprio passaggio identitario. Come definiresti la tua musica precedente a questo singolo e cosa invece vuoi trasmettere adesso?

«Parto dal fatto che mi piace sperimentare, e penso che sarà sempre così. Sicuramente, nella mia musica precedente, si parlava di un inizio: stavo esplorando la mia artisticità e cercando di comprendere gli stimoli che ricevevo dall’esterno. È un percorso che non denigro; grazie alla vecchia musica sono riuscito a dare spazio a questa nuova, con una maturità diversa e soprattutto con un’esigenza diversa. Con “My Lady” c’è un passaggio sonoro molto importante per la mia musica. Ho studiato a fondo me stesso e ricercato intensamente il sound che sentite, affiancato da Giada De Prisco. Ho voluto donare tutta la mia voce e il mio impegno, con la maturità che ho oggi. Spero sinceramente che “My Lady” possa rappresentare una crescita personale e artistica, puntando a creare un legame più intimo con chi mi ascolta».

Il dialetto napoletano diventa parte integrante del tuo soul. I ritmi R&B, prettamente americani, si coordinano con le tue parole, tanto da far diventare il dialetto quasi una lingua a sé stante. Quanto pensi sia difficile per l’ascoltatore riuscire a comprendere ciò che vuoi comunicare?

«Sono molto contento quando questo viene notato. Anche per me è stata una sfida ottenere questo risultato con la lingua napoletana all’interno di queste sonorità, quindi sì, penso che possa essere difficile comprendere appieno il testo per chi ascolta. Ma sono certo di una cosa importante: la musica ha un potere universale, capace di suscitare emozioni attraverso la melodia. Credo che questo possa superare le barriere linguistiche. Basti pensare a un brano straniero che arriva in Italia e fa milioni di stream!».

L’uso del dialetto, in questo specifico caso, sembra volutamente orchestrato per potersi accordare con la musica tanto da suonare quasi “inglese”. Quanto è stato ricercato da parte tua questo effetto?

«L’uso del dialetto, in questo specifico caso, è stato volutamente orchestrato per accordarsi con la musica, tanto da suonare quasi “inglese”. Questo effetto è stato frutto di una ricerca attenta e consapevole. Ho voluto creare un ponte tra la mia cultura e le influenze R&B americane, rendendo il dialetto napoletano non solo comprensibile, ma anche armonioso all’interno di questo contesto musicale. È stata una sfida stimolante, ma il risultato finale dimostra quanto il dialetto possa essere versatile e universale quando viene integrato con cura e passione».

La lingua che usiamo richiama automaticamente l’identità di un individuo. In questo caso l’uso del dialetto ti è servito per la concordanza sonora o proprio per costruire una base che avrà futuri risvolti nei tuoi brani?

«Io sono convinto per entrambe le ragioni. Come dicevo, è stata una scelta voluta e studiata per questo progetto, ma sto scoprendo ogni giorno di più questa lingua che mi appartiene, cercando di imparare nuovi termini e modi di dire per poterli trasferire all’interno dei miei messaggi attraverso la musica. È molto affascinante. Penso che questo approccio mi permetta di esplorare nuove direzioni musicali, mantenendo sempre un legame con la mia cultura. Non nego, però, di voler reintrodurre l’italiano accanto alla lingua napoletana».

Hai avuto un esperienza fallimentare sotto casa discografica. Quanto pensi che ciò abbia influito sulla tua libertà di espressione? Quanto pensi che siano problematici i vincoli che spesso vengono imposti dall’etichette?

«Attendo dal 2020 una domanda al riguardo. In realtà, l’esperienza è stata fallimentare perché sono rimasto fermo due anni in esclusiva, senza poter proporre la mia musica e iniziare il mio percorso a 18 anni. Questo, indubbiamente, mi ha fatto ritardare di due anni e sto ancora cercando di perdonare questa situazione. Non è stato facile, ma oggi mi rendo conto che, nonostante quei due anni di inattività, ho iniziato a costruire i primi rapporti lavorativi che mi sono utili ora. Ho cercato di esprimermi nel dietro le quinte, tentando di portarmi avanti. Ho fatto tutto il possibile per il bene del mio futuro musicale. Questa esperienza mi ha fatto capire quanto sia importante mantenere il controllo sulla propria musica, soprattutto quando si è giovani e pieni di fame. È fondamentale avere inizialmente la libertà di esprimersi senza compromessi».

Secondo te, ad oggi, che tipo di scena si sta delineando per l’R&B italiano? Quanto ti senti parte di questo percorso?

«Ad oggi, la scena R&B italiana sta vivendo un momento di crescita e trasformazione. C’è un interesse crescente verso questo genere, con molti artisti che sperimentano e portano nuove sonorità, arricchendo il panorama musicale italiano. La scena sta diventando più inclusiva e diversificata, con influenze internazionali che si mescolano a elementi locali. Proprio per questo, sarebbe di grande aiuto, ricevere più sostengo e interesse anche dalle discografiche per educare gli ascoltatori. In ogni caso, contribuire all’evoluzione dell’R&B italiano/Napoletano, portando la mia visione e le mie esperienze, è per me una grande fonte di ispirazione».

a cura di Carlotta Procino e Aida Picone.

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