Stanchi della società dei record: ce lo canta Luz Vega

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È annunciata per il 5 luglio l’uscita del nuovo singolo di Luz Vega, M.I.M.A. Una canzone che parla dell’irrefrenabile corsa verso il successo nella società dei record. Ogni volta che tratto un argomento di valenza sociale perché credo e spero che possa smuovere le coscienze di chi legge, mi metto una mano sulla mia, di coscienza. Sento la paura di sminuire il tema perché magari non ci sto abbastanza dentro, non l’ho vissuto in prima persona e quindi mi chiedo: «chi sono io per permettermi di mettere bocca su un argomento così delicato?».

Ma poi mi rispondo che faccio informazione, che non sto scrivendo un diario personale, che dietro ad un articolo c’è una ricerca, una raccolta dati, un andare a fondo in un determinato argomento. Allora sparisce il senso di inadeguatezza e subentra quello di responsabilità ed ecco che, senza nemmeno accorgermene, mi rendo conto che, nell’argomento della società  dei record, mi ci trovo dentro con tutte le scarpe anche io. Oggi ho scelto di parlarvi di questa tematica assieme ad un artista e amico, uno di quegli amici con cui passi interi sabati della tua adolescenza in una delle piazze della cittadina di provincia dove sei cresciuta, la stessa realtà che, a 16 anni, poteva fagocitarti o invitarti a scappare.
«Io e Laura ci conosciamo esattamente da 19 anni» racconta Luca Frugoni, in arte Luz Vega specificando che non sono la stessa Laura di Camaleonti, il singolo precedente a .
Nonostante io in quella Laura ho rivisto i miei 16 anni, grazie a quegli “occhi che fanno un casino” cui parla Luz, e l’ho vista nell’irrefrenabile voglia dello stesso autore di portarla via da quella realtà che non la faceva vivere bene.
Sognavamo, da ragazzini, di volare altrove con la musica. I nostri chiodi di pelle lo raccontavano bene. Quelli che indossavamo indipendentemente dalla stagione perché cercavamo un senso di appartenenza che andasse oltre le nostre famiglie di origine. Cercavamo un’identità nella corazza che ci costruivamo attorno, mentre i Kina urlavano nei nostri auricolari da un lettore mp3 «non credere di capirmi dalla scorza che vedi, il mio vero io è troppo lontano, nelle profondità dell’assurdo», ma probabilmente non avevamo ancora la maturità per comprendere nel profondo quei testi, l’avremmo fatto almeno 15 anni dopo, quando avremmo iniziato a capire che, costruirsi un’armatura che potesse essere un chiodo di pelle o che potesse essere la polo Lacoste da bravo figlio di mamma e papà, era comunque sbagliato. C’era quell’io, troppo lontano, da andare a cercare per chiedergli scusa ed iniziare a trattarlo con riverenza, un io da proteggere insegnandogli a dire “si” a anche a dire “no” di fronte alle richieste ingombranti della società dei record.

Uscirà il 5 luglio M.I.M.A., un brano che tratta l’argomento della società  dei record in un contesto di perdizione, quasi come se Luz Vega sentisse il bisogno di evadere al punto di lasciare pezzi di sé in giro. Ma cosa rimane di noi dopo il risveglio dal sogno americano? Approfondiamolo nell’intervista che segue, direttamente insieme all’autore.

Nel tuo prossimo singolo  M.I.M.A. parli della società dei record. Come vivi questa pressione psicologica in quanto artista emergente?

«Sicuramente non è il massimo. In Italia c’è una forte pressione a riguardo, più di altri Paesi. L’idea è sempre quella di aspettare il modello che funzioni di più e cercare delle riproduzioni che più o meno vadano bene per lo stesso “contenitore”. Il nostro non è mai stato un Paese attento a dare voce a più realtà, soprattutto (parlo in prima persona) nel mondo artistico. Percepisco che c’è tanta frustrazione in giro, anche da persone che in realtà  una carriera ce l’hanno, eppure siamo bombardati ogni giorno da chi batte il record a 20 anni o da chi è finito su Forbes in qualche classifica. Alimentare quotidianamente questo sistema malato in cui si perde la pazienza, si perde la noia, si perdono anche gli strumenti per ascoltarsi sul serio è qualcosa che fa tenere in piedi solo i caratteri forti che riescono a dire “chi se ne frega!”, le persone più sensibili stanno uscendo sempre più allo scoperto e le trovi in lacrime su TikTok, ad esempio. Io dal mio canto sono un po’ più grande e mi sono fatto le ossa da tempo in questo mare ma, nonostante ciò, ti dico che spesso vedere l’impegno di mesi, i percorsi profondi della tua anima o semplicemente un pezzetto di te ridotto a dei numeri decisi da qualcuno che poi, parliamoci chiaro, a monte ti fa i conti in tasca ed è davvero frustrante».

M.I.M.A. È l’acronimo di Maratone Isteriche e Muscoli Appesi. Cosa intendi per “muscoli appesi”?

«I muscoli appesi sono una conseguenza della maratona isterica che determina il nostro presente, una sensazione di volersi perdere, annullare quasi, in certi momenti. Quando vorresti non essere presente a te stesso del tutto o comunque spegnere il turbo dell’oggi spesso determinato dallo spettro del passato e dalla paura del futuro; è una sensazione che chiamiamo stanchezza ma è molto di più, perché la stanchezza ci fa fermare e, invece, sentire i muscoli appesi al proprio corpo è quello status in cui sembra sempre che sei negli ultimi cento metri della maratona ma quei metri non finiscono mai. Per un attimo devi lasciarti andare perché sai che nonostante tutto continuerai a correre».

Dall’uscita di Capo Nord dell’estate scorsa non ti avevamo più sentito (ci sei mancato e ci è mancata la tua musica), poi sei tornato a bomba con Camaleonti, accompagnato da una nuova immagine di te, ben definita. A volte è importante fermarsi per ripartire con una marcia in più. È stato un momento della tua vita in cui hai sentito il bisogno di fermarti, di prendere fiato da questa maratona isterica?

«In parte. Diciamo che sicuramente c’è stato un tempo di logistica organizzativa che ha determinato la pausa, in più in questo anno di stop ho scritto tantissimo e sentivo la necessità  di dare un vestito più coerente a chi sono oggi. Mi sento in continua evoluzione per cui la sperimentazione è un concetto che mi apparterrà  sempre, però avere un sound più definito era un pezzo che mi mancava e che solo tramite x.x.x.x.l (Stefano Calabrese) sono riuscito a raggiungere. Abbiamo fatto ricerca, abbiamo scritto insieme. Nel caso di Camaleonti, con il mio manager Marco (152 Records) abbiamo curato i dettagli e tutto questo processo ha creato anche un immaginario che i ragazzi di Virtus Magazine (i quali attualmente curano tutto l’aspetto creativo) hanno capito, interpretato e messo in pratica in maniera splendida. Queste collaborazioni hanno avuto bisogno di un tempo di decantazione che hanno reso la mia maratona un pochino meno isterica ed in cui sento di potermi raccontare meglio».

“Guarda quello là e guarda e dove sei tu oggi”, scrivi nel tuo testo. Con una grande forza d’animo si può arrivare a fregarsene del percorso altrui andando avanti per la propria strada, semplicemente pensando che ognuno di noi ha una missione ben precisa, che siamo tutti unici, facilmente sostituibili è vero, ma comunque perfetti nella nostra natura. Ti sei mai ritrovato a metterti davvero a paragone con qualcun altro fino a provare uno stato di sofferenza?

«Purtroppo si, spesso. Il sentimento dell’invidia è un sentimento umano, che può essere sano se preso per il verso giusto. Ahimè, nella maggior parte dei casi non è così. Io mi sono trovato spesso a dire che forse la mia scrittura non vale molto e che magari lasciar perdere è la scelta migliore, però non ci riesco. Non per un discorso legato all’arrendersi, ma più che altro è che la mia necessità di comunicazione tramite la musica spinge sempre troppo forte e non posso non assecondarla.
Il paragone è sempre dietro l’angolo e più passa il tempo più genera pensieri e questo sta distruggendo la fantasia di un sacco di ragazzi e ragazze secondo me. Io in questo presente il paragone lo vivo relativamente, sento una pressione, quello si, però ho accettato la mia unicità nel bene e nel male, con tutti i risvolti positivi e con tutte le fasi negative, dal mio fisico, di cui ho sofferto per anni e che tutt’ora mi lascia degli strascichi di sofferenza, fino al fatto che sono in possesso di uno strumento importante, come la mia voce, e che devo sfruttarla finché il corpo me lo permette.
Sono microscopici riassunti di analisi lunghe e profonde che mi impegno a fare ogni giorno per accettarmi ed accettare, per cercare di non perdere mai il rispetto per chi sono e per chi mi circonda, per cercare sempre la cosa giusta senza calpestare gli altri. A volte mi perdo in tutto questo, proprio nel paragone, spesso e volentieri, ma so che sto facendo un percorso e inciampare è parte del processo».

Dal momento in cui siamo tutti vittime e carnefici di una corsa agli armamenti e di una corsa ad ostacoli, noi di Nemo auguriamo il meglio per la carriera di Luz Vega, perché quando la pressione che ci arriva da fuori è troppa, possiamo solamente aggrapparci alle uniche cose che salvano il mondo: la bellezza intrinseca nell’arte per riempirci il cuore e la cultura per difenderci davanti a chi vorrebbe tenerci sotto scacco.
Allora è in quei momenti che metti il telefono in modalità aerea, metti su un vinile, ti disconnetti per un attimo dai giri immensi che fanno i pensieri, ritrovi te stesso e torni più forte di prima in questo girone infernale, per lasciare al mondo un po’ della tua sana bellezza.
Grazie Luz.

Ascolta Luz Vega su Spotify

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