Siamo bloccati nella filter bubble? Perché Spotify non ci fa scoprire nuova musica
![filter bubble Spotify](https://www.nemosounds.it/wp-content/uploads/2025/01/Progetto-senza-titolo-14-1024x683.jpg)
Quanto è fastidiosa quella sensazione di non riuscire mai davvero a trovare nuova musica su Spotify? Succede perché siamo bloccati nella sua filter bubble.
La filter bubble rappresenta una condizione in cui un utente non riesce a scoprire nuova musica. Ciò accade perché il machine learning della piattaforma di streaming tende a selezionare per lui o per lei brani tendenzialmente molto simili tra loro. Ed è questo che crea la fastidiosa sensazione di ripetitività.
Non si tratta di un fenomeno relegato solo a Spotify, ma riguarda tutte le piattaforme. I nostri ascolti e le nostre scoperte in fatto di musica non sono mai davvero interamente determinati dai nostri gusti. Al contrario, vengono direzionati dagli algoritmi e dall’intelligenza artificiale. Una grande parte del repertorio musicale, purtroppo, resta esclusa.
Ma perché succede?
Come funziona l’algoritmo di Spotify
Le regole e i meccanismi che definiscono il funzionamento di Spotify sono complesse e protette da una certa segretezza. Ciò che sappiamo è che il machine learning utilizzato da Spotify si basa su diversi elementi:
- La cronologia degli ascolti, i brani preferiti dell’utente e le playlist che ha creato;
- La popolarità della musica sulla piattaforma e le tendenze di ascolto globali;
- Il comportamento dell’utente sulla piattaforma: quali brani gli piacciono, quali salta, quali ascolta fino alla fine.
Ma non è tutto. La forza di Spotify in particolare, ciò che è riuscita a distinguerla da tutte le altre piattaforme, sono i suoi modelli di raccomandazione, tra cui:
- Analisi del linguaggio naturale: una tecnologia di apprendimento capace di riconoscere il significato dei testi delle canzoni. Deduce da questo anche il mood di un brano. Può così consigliare all’utente canzoni simili per semantica o per tono.
- Collaborative filtering: si tratta di uno degli strumenti più potenti di Spotify. Esso viene continuamente ottimizzato grazie alla popolarità della piattaforma stessa. La tecnologia di collaborative filtering mette a paragone gli ascolti di un utente e il suo comportamento d’uso di Spotify con altri ascoltatori. Una volta trovata una corrispondenza tra due o più persone, tenderà a consigliare ad uno i brani per cui l’altro ha espresso interesse e viceversa. Virtualmente, questo fa sì che non veniamo mai messi in relazione con persone troppo diverse da noi. Così ci incastriamo nella nostra filter bubble.
La diversità di ascolto paga?
In realtà, se andiamo a vedere i dati del centro di ricerca di Spotify, possiamo facilmente capire che la filter bubble non solo annoia gli ascoltatori, ma rema anche contro gli interessi economici della piattaforma.
Una ricerca svolta nel 2020, infatti, ha sottolineato come gli utenti che mostrano preferenze musicali più diversificate siano quelli che hanno più probabilità di passare da un abbonamento free ad uno premium. Sarebbero addirittura 25 volte più inclini a diventare utenti paganti rispetto a chi si contraddistingue per gusti musicali più piatti. Inoltre, gli utenti musicalmente più variabili si contraddistinguono anche per una maggiore tendenza alla retention, Questo significa che sono più inclini a rimanere fedeli alla piattaforma a cui sono abbonati.
La diversità d’ascolto, dunque, paga. Allora perché non viene favorita?
In parte questa mancanza è dovuta a quella che potremmo considerare un’imperfezione necessaria dell’algoritmo, e in particolare del collaborative filtering. Se un utente viene matchato ad un altro con gusti musicali simili, è infatti molto probabile che le canzoni che gli verranno raccomandate siano abbastanza monotematiche.
Allo stesso tempo, c’è anche da considerare l’influenza delle major. Le etichette discografiche, infatti, hanno un’influenza nei contenuti che Spotify ci propone. L’obiettivo delle major è quello di spingere i propri artisti e i loro brani cercando anche di bypassare la filter bubble. Tentano infatti di far scoprire le proprie proposte a una base di pubblico più ampia. Ecco perché talvolta troviamo su Spotify delle playlist editoriali che non riconduciamo immediatamente a una major e che contengono al loro interno le tracce che l’etichetta intende spingere.
Come uscire dalla filter bubble e scoprire nuova musica
Okay, quindi abbiamo capito le playlist Discovery di Spotify non sono così tanto “discovery”.
Tra l’altro, è bene sapere che per essere inseriti in questa playlist, gli artisti sono costretti a vedere ridotte del 30% le proprie royalties. Royalties che su Spotify sono tra le più basse rispetto alla maggior parte della piattaforme di streaming musicale.
Cosa possiamo fare quindi per uscire dalla bolla dei nostri ascolti abituali?
La risposta è: non smettere di ascoltare. Non Spotify, ma tutta la scena musicale che abbiamo attorno.
Andiamo ai concerti degli artisti e delle artiste emergenti, ascoltiamo le raccomandazioni musicali dei nostri amici, seguiamo sui social i profili che parlano di musica (e magari che lo fanno in maniera analitica, critica, ma in senso costruttivo). Manteniamo la curiosità nei nostri ascolti e soprattutto non ascoltiamo passivamente.
La musica evolve e con lei possiamo evolvere anche noi, scegliendo di non rimanere fossilizzati sullo stesso genere e sugli stessi artisti mainstream. C’è tanto altro al di fuori della nostra bolla. Scoprirlo è una scarica di dopamina a cascata.