NECK DEEP – Un incontro al Bay Fest.

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La band gallese che dal 2012 tiene alta la bandiera del pop-punk, ci ha regalato un concerto esplosivo a Bellaria, in occasione del Bay Fest 2024. Tra un suondcheck e una passeggiata in spiaggia siamo riusciti a scambiare due chiacchiere con il frontman Ben Barlow e col batterista Matt Powles.

Dopo tanto tempo ritornate in tour, un’esperienza emozionante ma scandita da ritmi caotici. Qual è la parte che preferite?

Cose come questa che viviamo qui oggi, direi! Ci sono rari giorni in cui sì, stai lavorando, ma passi tutto il giorno in spiaggia; è pazzesco, non ci si può lamentare! La nostra fortuna, poi, è anche quella di essere tutti buoni amici, parlo della band ma anche della crew. Passare il tempo insieme è sempre estremamente piacevole, specialmente in periodo di “Festival”… ci godiamo i concerti degli altri, facciamo due passi al mare, giochiamo ai videogiochi. E’ una vita serena, siamo grati.

Ottobre ha visto l’uscita del vostro nuovo album “Neck Deep”. Potete parlarci meglio di cosa vi ha spinto a tornare sulle scene?

Volevamo semplicemente recuperare le nostre radici tornando a fare la musica che amiamo e che ci viene spontaneo fare, nel modo per noi più genuino. E’ stato un lavoro completamente autonomo, ci siamo ritrovati in studio, mio fratello ha curato le produzioni… in questo album ci siamo concentrati su quello che è il cuore pulsante del nostro progetto: un pop-punk rapido, energico e divertente – che non vuole prendersi troppo sul serio. C’è una linea sottile che divide un pop-punk di qualità da un pop-punk davvero scarso: noi sappiamo come non oltrepassarla.

“We need more bricks”, brano contenuto nell’album, è noto per il suo messaggio politico; cosa ti ha ispirato a scrivere questa canzone?

Quello che succede nel mondo mi butta giù come fa con chiunque altro. Al contrario di quello che si possa credere, non siamo milionari; al giorno d’oggi se non sei “super ricco” sembra proprio che tutto faccia schifo. Nel brano volevo solo essere solidale con le persone, magari ispirarle e ricordare loro che esiste un modo giusto di stare al mondo… cercare di riunirle sotto un pensiero collettivo, sottolineando dei valori universali, cose che è impossibile non vedere. E’ Un po’ un “grido di battaglia”. Proviamo a rendere il mondo un posto migliore, e per farlo servono i punk; dei punk arrabbiati – e un sacco di mattoni! Scherzi a parte: certe cose non possono non generare indignazione, e su questo volevo far riflettere chi avrebbe ascoltato la canzone. Pensare alla politica, sì, ma con la speranza che le cose possano migliorare, se tiriamo fuori un po’ di carattere.

La salute mentale è un tema ricorrente nei vostri lavori, che impatto speri che le vostre canzoni abbiano sugli ascoltatori? 

Rispecchiarti nelle parole di qualcuno che ha vissuto la tua stessa situazione ti fa sentire meno solo, si tratta semplicemente di questo. La musica è una questione emotiva, un canale diretto che ti collega a ciò che provi. Ascoltare un brano che “ti parla” e magari ti aiuta anche a cambiare prospettiva ha un valore inestimabile. Succede a me, succede a chiunque. Probabilmente è banale e scontato quello che sto dicendo, ma è tutto lì: la musica ha il potere di arrivare in profondità e aiutarti davvero.

In che modo la vostra fan base ha ispirato l’evoluzione dei Neck Deep? 

Siamo cresciuti insieme, quindi ci sentiamo molto simili e vicini a loro. Avevamo tra i diciassette e diciotto anni quando abbiamo fondato la band, e chi ci seguiva aveva la stessa età. Sono passati un po’ di anni, ormai, ma siamo rimasti connessi attraverso tutti i periodi della vita, è stato un viaggio che abbiamo fatto insieme. Essere stimati per tutti questi anni è un regalo, e allo stesso tempo riuscire comunque a cogliere l’interesse nuove persone ci rende davvero felici.

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