Mainstream e salute mentale: qual è il confine tra sensibilizzazione e Marketing nel 2024?

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Musica e salute mentale

Sanremo 2024. Sul palco del Festival più atteso d’Italia, tre ragazzi vestiti in “maniera improbabile” entrano in scena con un brano che sconvolge l’impolverato pubblico Rai per le sue note di rabbia e risentimento.

“Affogo in una lacrima perché il mio destino è autodistruttivo” cantava La Sad all’Ariston. Online piovono critiche e commenti d’odio, ma anche lodi e applausi per aver scelto di portare su un palco così grande un tema così importante, quello della salute mentale e della prevenzione del suicidio.

Lo hanno fatto apertamente, non solo attraverso la musica, ma anche sfruttando la scenografia al meglio (ricordate i cartelli con scritto “Non parlarne è un suicidio”, accompagnati dal numero del Telefono Amico?).

Nella stessa edizione del Festival, anche Il Tre porta sul palco un brano che tocca il tema della salute mentale: “Fragili”, brano che il rapper ha dichiarato di aver scritto in uno dei periodi più difficili della sua vita e che racconta appunto delle fragilità di ognuno di noi, invitandoci ad accettarle.

Ma perché di salute mentale si parla così tanto, talmente tanto da arrivare persino sul nazional-popolare palco sanremese, proprio in questo momento storico? E quanta volontà c’è di affrontare il tema in maniera autentica e soprattutto libera da logiche di profitto?

L’argomento del benessere psicologico oggi sembra trasformarsi sempre di più da valore fondamentale, soprattutto per una parte di pubblico giovane, a opportunità di guadagno.

Cosa succede quando si intravede una mossa di Marketing dietro a una questione così importante e delicata come quella del benessere psicologico? Il risultato è che l’artista si trasforma in un venditore, cavalca la necessità per tramutarla in oro e, molto spesso, ispira altri a fare la stessa cosa, trasformando il tema della salute mentale in una moda artificiosa.

Perché sempre più cantautori parlano di salute mentale?

Probabilmente il motivo per cui oggi la musica parla sempre di più di malessere psichico è perché questo è uno dei temi più importanti per la Generazione Z, che dopo la pandemia ha compreso meglio di tutti l’importanza delle connessioni umane, del sostegno reciproco, dell’attenzione alla propria sfera emotiva. Accusata di vivere su Internet, la GenZ lo utilizza piuttosto come strumento di connessione e di informazione, così come di prevenzione e di sensibilizzazione soprattutto quando si parla di salute mentale.

Non è un caso, infatti, che a portare questo tema nella musica siano spesso cantautori appartenenti proprio a questa generazione.

C’è chi lo dice non solo nei testi, ma anche sui social. Un artista che ha parlato apertamente della sua sfida con la salute mentale e in particolare con l’ansia è thasup, che ha dichiarato: “Il 2023 è stato l’anno peggiore della mia vita”, tanto da scegliere di sospendere la produzione musicale per affidarsi a degli specialisti. E infatti, già prima della pubblicazione del suo ultimo album, aveva già affrontato il tema insieme a Rose Villain nel brano “Brutti Pensieri”, esplicito e d’impatto.

Sento il fischio del treno, che faccio, mi butto?

Vedo la luce dal tunnel, adesso mi tuffo

Ma chi lavora poi arriverà tardi ed incolperà i mezzi

Mi spiace per i paramedici che raccoglieranno i pezzi

Sensibilizzazione o opportunità?

Parlare di salute mentale non è moda: è necessità. È il grido di una generazione non vista, non ascoltata e spesso etichettata come superficiale. Se non ascoltate i nostri discorsi, ascolterete in radio la nostra musica. Non potrete più ignorarci.

Finalmente se ne parla. Ma proviamo a farci una domanda: perché proprio adesso?

Non possiamo fare finta di niente. Da un lato, è assolutamente necessario portare il tema della salute mentale all’attenzione del pubblico e in questo la musica può essere un’ottima cassa di risonanza. Dall’altro, forse dovremmo chiederci quanto c’entrino in questo fenomeno gli interessi economici dell’industria musicale.

Nel 2024 tutto ha il suo mercato, anche la musica. Le logiche di mercato seguono ritmi ben precisi dettati da trend di settore, analisi e studio del target di riferimento. E se dovessimo individuare dove esattamente l’industria musicale trova il suo mercato, forse potremmo dire: nell’identificazione.

Facciamo un passo indietro. Perché quando siamo tristi ascoltiamo musica triste?
Forse perché svolge per noi una funzione fondamentale: dà forma all’impensabile.

La musica spesso è in grado di definire per noi un dolore che non riusciamo a descrivere. Quelle parole ci servono per individuare i contorni di sentimenti che a volte non siamo nemmeno in grado di comprendere. Da qui nasce un’identificazione, un legame con l’artista.

Ma si sa: “legame” in termini di Marketing (anche di quello musicale) significa “guadagno”. E se proprio adesso si parla e si canta così tanto di salute mentale non possiamo far finta che non c’entri anche il Marketing, più precisamente l’analisi dei bisogni del pubblico: una Generazione Z che dopo la pandemia vuole parlare proprio di questo tema.

Quindi parlare di salute mentale con la musica è sbagliato?

Assolutamente no, anzi. Dopo anni di silenzio e tabù, dare rilevanza a questo argomento è essenziale. In questo la musica mainstream può essere uno strumento non solo di risonanza, ma anche di educazione, sensibilizzazione, aiuto e auto-aiuto.

L’altra faccia della medaglia è quella del Marketing e della possibile strumentalizzazione di questo dolore. In poche parole: il rischio è che non si scriva più del proprio malessere per dare a un ascoltatore la possibilità di rispecchiarsi in esso, di trovare le parole per raccontare il suo stesso dolore, ma che si scriva sempre di più di malessere psicologico perché… vende.

Qual è il confine etico tra sensibilizzazione e commercializzazione, in questo equilibrio? Vederlo al momento è davvero difficile, soprattutto perché in quanto ascoltatori non siamo mai davvero consapevoli di cosa succede dietro le quinte dell’industria. Ciò che interessa a noi, nella maggior parte dei casi, è il prodotto finale che arriva nelle nostre cuffiette.

Come tutte le questioni etiche, probabilmente non c’è una risposta davvero corretta. La scelta di dove porre questo confine è totalmente nelle mani di un artista.

Quello che possiamo continuare a fare noi in quanto fruitori del mercato musicale, è non smettere mai di ascoltare criticamente, farci delle domande, alimentare il discorso e la discussione costruttiva, soprattutto su temi delicati e importanti come il benessere psicologico. Perché anche nel mondo musicale, la logica del “purché se ne parli” a un certo punto non sarà più sufficiente.

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