L’industria di vittime e carnefici.
“Per vivere in armonia con il mondo ci dev’ essere rispetto”
Queste sono le parole che Angelica Schiatti condivide con noi in una vecchia intervista di Gennaio.
Difficile non dare oggi, a quel commento, un peso nuovo ed importante da cui nasce spontanea una riflessione.
Potremmo parlare dettagliatamente dello specifico tipo di violenza subita dalla cantautrice, perché da parlarne ce n’è più di quanto sia tollerabile nel 2024, ma è giusto lasciare questo compito a chi di questo tipo di divulgazione si occupa ogni giorno (e vi invitiamo caldamente a ricercare), dandogli lo spazio e l’accuratezza che merita.
Di ambienti musicali, però, ne abbiamo frequentati, di dinamiche da backstage ne abbiamo viste e non fingeremo stupore di fronte a quello che è stato divulgato riguardo il “caso Morgan”, perché tanto “a caso” non arriva. L’ambiente musicale è uno degli ambienti dove il machismo tossico resiste di più, dove le tossicità tutte hanno vita lieve, indisturbata, e c’è una probabilità più alta di victim-blaming nel momento in cui un “idolo” viene reso responsabile delle sue azioni.
Con la premessa che quanto segue non vuole sminuire casi specifici di estrema delicatezza, affermiamo che nel 2024 la retorica del musicista dannato e della donna ridotta a groupie, termine che oggi è appellativo svilente, sinonimo del maschilista “troia”, ha rotto il cazzo. La retorica dell’artista tormentato e sregolato che cede alle droghe solo perché la poltrona di un terapeuta gli sta scomoda (e magari nemmeno riesce a metterlo in connessione con sé stesso come fa un bel trip di allucinogeni), ha rotto il cazzo. Lo slogan Sesso, droga e Rock ‘n Roll sa di stantio e va fatto tramontare, insieme alle dinamiche autodistruttive e sessiste che hanno messo le radici nell’ambiente musicale ormai troppi decenni fa. Un meccanismo che accetta e glorifica più o meno consciamente abusi e sofferenza, incoraggiando a scavare nel proprio dolore in modo insano, con l’aggravante di condonare a suon di “gli artisti sono folli” la violenza che in alcuni casi ne scaturisce, è un meccanismo che genera vittime e carnefici in quantità industriale.
Aggiungiamo poi, che la mancanza di rispetto verso il prossimo non è mai giustificabile; figuriamoci se sfocia in atti violenti. Figuriamoci se sfocia in atti violenti che camminano in linea con una sistemica violenza di genere. Figuriamoci se approfitti della tua posizione facendo leva sull’ingeuità degli altri, se tratti le persone come oggetto accessorio da aggiungere a una lista di conquiste sessuali o se cerchi vendetta diffamando, diffondendo immagini private, minacciando e facendo stalking. Ogni riferimento è puramente casuale, ma sicuramente a molti, almeno uno di questi casi superficialmente accennati, suonerà assordantemente familiare.
Togliamoci il peso dei commenti che potrebbero arrivare, rispondendo a priori a dei ritornelli che vengono sciorinati quando si sollevano queste tematiche: no, non è una valida argomentazione il “però loro ci stanno”, figlio della retorica del “se l’è cercata”. Dobbiamo davvero specificare che quando si accenna a certi episodi non si parla di normale consenso tra due adulti consapevoli? Dobbiamo specificare che se ho scelto di condividere con te del materiale che mi ritrae in atti sessuali, nulla ti autorizza a diffonderlo, facendomi così violenza? Non è nemmeno il caso di dire #notallmen (o #notallmusicians) perché nessuno sta lanciando un’ accusa a tappeto e non è il momento di distogliere l’attenzione dal focus: questo è un dramma socio-culturale ed esistono dei chiari pattern che vanno riconosciuti e combattuti rieducando, ed esistono responsabilità che vanno attribuite a chi scade in atteggiamenti abusanti. Se volete delucidazioni sul perché, ribadiamo che esistono attivisti che si occupano quotidianamente di spiegarne le motivazioni nel modo più chiaro e rispettoso possibile, andate ad informarvi.
Tornando a noi: un artista non è un personaggio in un romanzo di Goethe, ma un comune essere umano fatto di carne e delicati equilibri psicologici – equilibri che se non curati portano ovviamente al non saper entrare in relazione col prossimo, quindi a non rispettarlo, quindi a non vivere in armonia con la società (spoiler: la società siamo tutti quanti). A questo punto, la domanda che sorge spontanea è: se scegli di vivere nella società ma a questa società non porti rispetto, è giusto continuare a godere indisturbato di certi privilegi? La risposta che ci diamo è negativa, ma per fare in modo che le cose cambino dobbiamo tirare fuori un coraggio collettivo.
E’ molto semplice accomodarsi sugli spalti dell’insindacabile ragione, quando il fiammifero è stato lanciato lontano dal nostro erboso giardino – ma è come ci comportiamo quando veniamo scossi nelle fondamenta delle sicurezze, a rivelare la nostra indole. Come scegliamo di reagire in questi casi, dovrebbe farci riflettere.
Gli abusanti suonano nelle vostre band preferite. Gli abusanti suonano con voi. Gli abusanti sono i vostri artisti preferiti. Gli abusanti sono vostri amici. Gli abusanti sono geni musicali, preparatissimi professionisti, sono un mucchio di chiacchiere studiate e stampate sul poster che avete appeso in cameretta o gli stessi che hanno scritto il brano che vi ha salvato la vita. Scegliendo di tutelare un’immagine idealizzata o solo la porzione che vi fa comodo mangiare, da che parte vi schierate?
State aiutando un sistema ad evolversi verso uno standard di sicurezza e rispetto, o proteggendo delle convinzioni che non siete pronti a lasciar andare?
Il nostro non vuole essere un discorso generalista, ma per ovvie ragioni deve essere riassuntivo: non si sta facendo di tutta l’erba un fascio, ma per piacere smettiamo di negare che questo fascio sia fin troppo sostanzioso e prendiamo una posizione.
A cura di Carlotta Procino, firma: la redazione di Nemosounds.