L’incantesimo di Chelsea Wolfe strega il Circolo Magnolia

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Ho sempre pensato che, per una questione di gerarchie in campo musicale, ci fosse Stevie Nicks sul trono delle streghe. L’ho sempre immaginata seduta al centro, e al suo fianco ci ho sempre visto due figure quasi apparentemente opposte, ma molto simili: Florence Welch e Chelsea Wolfe. Quest’ultima è approdata al Circolo Magnolia di Milano, per la sua unica data italiana del suo tour in supporto al suo ultimo disco, dal titolo She Reaches Out to She Reaches Out to She.

Ad aprire le danze è Mary Jane Dunphe, cantautrice e performer in grado di combinare perfettamente ballo, musica e arte, creando una performance a 360° con basi strumentali elettroniche ipnotiche à la Requiem For A Dream capaci di rendere quasi tangibile la female rage della nostra epoca.

Dopo di lei, la dea dell’oscurità: Chelsea Wolfe si presenta sul palco con in sottofondo solo il suono del piano, creando da subito un contesto intimo in uno show completamente soldout. Le luci rosse si alternano a quelle blu e viola, molto nel suo stile, settando da subito il mood oscuro dell’evento.

L’inizio, proprio come nel suo ultimo disco, è scandito da Whispers in the Echo Chamber, seguita da Everything Turns Blue e House Of Self-Undoing, pezzo in cui la batterista che la accompagna sfodera al meglio le sue capacità. Il pubblico ascolta e osserva silenzioso, come fosse sotto una specie di ipnosi: ci si riprende solo durante Tunnel Lights, nell’intermezzo in cui Chelsea Wolfe accenna una Zombie dei Cranberries così delicata da far male al cuore.

Il contesto è oscuro, ma la sua voce è pura luce. Imbraccia la chitarra, accenna il riff di 16 Psyche e il pubblico ora è in delirio, ma pur sempre composto, come sotto l’effetto di un vero e proprio incantesimo. Lei poi si ferma e beve da un calice, per un momento mi sembra quasi di essere al Bronze, dentro una puntata di Buffy. E il pensiero mi piace tantissimo. Con The Culling e The Mother Road sembra di assistere a un vero e proprio rituale, ed è incredibile: il modo in cui canta e persino in cui agita le mani incarna quella rabbia ancestrale femminile difficile da spiegare, eppure lei ci riesce alla perfezione perché women know what it is to endure.

La strega ringrazia i partecipanti: true goths in the house, dice, e le ragazze rispondono fiere. Da qui è il momento della combo Flatlands seguita da Feral Love, in un crescendo di suoni quasi tribali, dotati di una certa spiritualità. Dietro di lei, sullo schermo, un uroboro, simbolo di potere volto a divorarsi e rigenerarsi continuamente.

Il rituale continua con pezzi del calibro di Unseen World, Eyes Like Nightshade e Place in the Sun. L’encore è affidato a The Liminal in una versione acustica che porta tutti a un silenzio religioso: Chelsea Wolfe è da sola sul palco illuminata quanto basta per rendersi conto della sua presenza fisica, riempie il palco con la sua voce e mi accorgo di essere circondata da persone che provano il mio stesso rispetto e la mia stessa ammirazione per l’arte, e credo che a modo suo sia tra le più alte forme d’amore verso qualcuno o qualcosa mai provate. A chiudere la serata è Carrion Flowers, super psichedelica.

L’incantesimo è sciolto, ma tutti noi siamo stregati per sempre.

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