Koinè: alla scoperta del suono Napoliterraneo di Pellegrino

0
Koinè Pellegrino

In questo album c’è una studiata concatenazione di suoni, che pur essendo così attentamente composta, quasi matematicamente, scorre fluida nel dipingere davanti ai nostri occhi un panorama colorato, rumoroso, festoso, danzante. E se lo guardiamo bene si capisce in un attimo: è la bellezza di Napoli, disegnata dalle note di Koinè, il nuovo disco di Pellegrino.

Produttore, DJ e songwriter, Pellegrino è tra i pionieri del suono che lui stesso definisce “Napoliterraneo”, capace di far ballare i dancefloor di tutta Europa. Dal 2018 porta avanti il progetto Pellegrino & Zodyaco, un percorso che esplora il misticismo mediterraneo mescolando ritmi latini e funk, insieme alla sua band.

Con il nome Koinè, termine che significa “linguaggio comune”, il lavoro custodisce già nel titolo una dichiarazione d’intenti, dove lingue (parlate e musicali) e dialetti si mescolano creando un mosaico di suoni, sensazioni e visioni che intreccia la tradizione melodica napoletana con la disco, il funk, la jazz fusion e la world music. Pellegrino abbandona gli schemi legati al revivalismo, sperimentando nuove dimensioni compositive e attingendo da un immaginario che fonde strumenti vintage, percussioni etniche e atmosfere mediterranee.

Abbiamo incontrato Pellegrino in occasione di Murmurè, un bellissimo ciclo di eventi dedicato agli artisti “fuori dal gregge” e alla loro personale concezione di musica. Ecco cosa ci ha raccontato del suo album Koinè.

Il tuo sound è molto particolare e interessante, un’essenza che tu hai definito “Napoliterraneo”. In cosa consiste esattamente questo suono?

È un termine che ho coniato per descrivere il suono del mare, delle urla confuse di un mercato, urla di bambini, una chitarra che suona due note, un riflesso del sole, tutte queste cose e nessuna di queste. È il suono delle radici che partono dalla mia città per un viaggio senza meta alla ricerca del bisogno d’altrove musicale ed esistenziale.

E se pensi alla tua città, c’è un luogo in particolare dove la tua creatività prende vita e dove senti maggiormente presente questo sound Napoliterraneo?

Alle pendici del Vesuvio, tra il golfo e la sommità del vulcano, c’è una terra che pulsa di vita e aspetta di essere vissuta e raccontata.

Qual è stato il brano che ha richiesto più tempo per la sua composizione? C’è un motivo particolare?

Non è mai facile lavorare a un album, è un mosaico di memorie e immagini che risulta complicato decifrare. Koinè, però, è un disco molto spontaneo, istintivo: volevo raccontare storie che sentivo mie, senza ricorrere a soluzioni stilistiche preconcette. Alcuni brani nascono di getto e quasi si compongono da soli, altri sono più timidi, ci mettono un po’ a rivelarsi. Palepoli, ad esempio, è un esperimento nuovo per me: tra jazz e musica folk racconta una Napoli in divenire, sospesa tra rabbia e riscatto. Oppure Sirene, che immerge in un viaggio onirico nelle profondità del golfo.

Cos’è che ti ispira nella scrittura della tua musica?

La vita e tutto ciò che la attraversa.

Credo che l’elemento fondamentale sia il bagaglio che nel tempo riempiamo con ciò che ci succede, ciò che ci affascina, incuriosisce e stimola: i ricordi di un suono o di un’immagine, gli errori e i rimedi, sconfitte e vittorie, le discese ardite e le risalite…

Parliamo invece di Mario: questo brano è “un dialogo immaginario con un amico disilluso. Mario diventa così l’archetipo di un malessere universale, tra malinconia e ricerca di sé”. Quali sono le illusioni e le disillusioni di Mario e a chi immagini di parlare in questo dialogo?

Mario è un amico, Mario potremmo essere noi stessi. In un mondo iperconnesso, dove sembra di essere in contatto perenne con chiunque tranne che con sé stessi, può capitare di ritrovarsi a fare i conti con ciò che si è diventati e ciò che si sarebbe voluti essere. Non sempre queste due cose combaciano e forse Mario l’ha capito.

Koinè si ispira a L’elogio della fuga di Henri Laborit. Sui social hai scritto che “in tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare“. Cosa significa per te questa frase e che relazione ha con questo tuo progetto?

È una frase che trovo bellissima perché mi ispira un senso di serenità e leggerezza, forse proprio perché lascia aperta la porta alla fuga, appunto. C’è qualcosa di appagante nel sapere che un’alternativa c’è. Credo che ognuno di noi abbia qualcosa da cui fuggire: questa fuga verso un’astrazione da ciò che ci consuma e non ci lascia esprimere per me è la musica, e il progetto Zodyaco ne è l’emanazione.

Che tipo di live porterai in giro per il tour di Koinè?

Il progetto Zodyaco nasce dall’idea di portare la mia musica dal vivo con l’attitudine dance che ci contraddistingue. Nelle tappe che ci attendono in giro per l’Italia, a cominciare da Napoli il 21 marzo, ci saranno otto elementi sul palco (mi piacciono i palchi affollati), pronti a condividere la vibe mediterranea.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *