Intervista ai Management: ora che l’indie è morto, siete pronti alla fine del mondo?
Recupero intervista del 02/11/2023 Nemo Rock In Patria Ex Blog de L’Espresso. Intervista tenuta nel Backstage del Monk di Roma per la festa dei dieci anni di Sei tutto l’indie
Con tutte le canzoni di merda che vi hanno fatto sentire negli ultimi dieci anni, possiamo dirlo: oggi l’indie muore.
Inizia così, dopo i primi due brani, il concerto dei Management per la festa dei dieci anni di Sei Tutto L’Indie. Una frase manifesto che rimane lì, appesa tra le urla e gli applausi della gente. Ci siamo distratti giusto un attimo e sono passati dieci anni da quando nelle nostre cuffie è entrata quella scena di artisti che ha stravolto e scardinato ogni logica di mercato dando spazio e possibilità all’espressione libera e indipendente. Almeno in un primo momento.
Per fortuna però, i Management ci hanno abituato ormai da tempo ad una lirica che spacca il cuore e ad una penna sottile e pensata in grado di entrarci in testa raccontando la nostalgia di un mondo che fatica a rimanere a galla e delle nottate che non vanno mai a finire bene.
Da “Pasticca Blu” a “Norman”, passando per “Auff” fino a “Naufragando” si toccano i grandi classici che negli anni ci hanno dimostrato in maniera impressionante come il duo di Lanciano riesca a combaciare la scrittura per se stessi a quella per gli altri.
È un Monk caloroso quello per la festa dei dieci anni di Sei Tutto l’Indie ed è un momento in cui, chi più chi meno, ha affogato i proprio dispiaceri sul fondo di un bicchiere sotto una una pioggia di note che è stata in grado di creare un carico di immagini vivide in un presente che vuole dilagare nel passato.
È la voce del pubblico a far tornare tutte le carte in tavola al loro posto e creare un equilibrio apparentemente impossibile che serve per esser felici, o forse: iperfelici ma non troppo.
Una scaletta tiratissima e instancabile che respira solo quando sul palco sale l’ospite Nicolò Carnesi che conferma il suo essere dannatamente versatile vocalmente. È un momento intimo con i riflettori puntati sulle anime, quelle fragili, quelle tradite, violentate e ammazzate. Ma noi siamo ancora qua ad aspettare il vento e a resistere alle intemperie della vita.
Merita una menzione speciale anche Clavdio che non è passato in sordina, anzi, con la chitarra e col suo modo così pulito ed elegante ha messo d’accordo tutti. E come diceva qualcuno “se arriva da solo col chitarrino, chiede tremila euro: vuol dire che è bravo” e sì, è stato bravo davvero. Floreale e magica la voce di Kuni in apertura e urban e tagliente quella di soloperisoci.
Siamo stati nel backstage prima dell’inizio del concerto e abbiamo scambiato qualche battuta con i Management.
Tra poco sarete sul palco per la festa di sei tutto l’indie. Per certi versi è anche la vostra festa. Ci siamo distratti un attimo, e sono passati già dieci anni. Che è successo nella musica in questa parentesi temporale?
Il mondo indie è diventato, giustamente, il nuovo pop. Questo però ha lasciato un vuoto enorme dal lato della musica alternativa. Un vuoto che qualcuno deve riempire.
È un mondo in cui vi riconoscete, questo?
No. Semplicemente perché siamo cresciuti con l’idea che bisogna sempre cercare altre strade da quelle imposte dal mainstream. Una volta scoperto un mondo, partire subito alla ricerca di un altro mondo. Adesso questo sembra molto difficile, soprattutto in Italia.
Che cosa ha significato per voi essere indie dieci anni fa e cosa significa oggi? E soprattutto: ha ancora senso parlare di musica indie?
Non ha più senso. Pane al pane, vino al vino. Ciò che era indie adesso è pop. Si dovrebbe lavorare per tornare a dare all’indie il valore etico di indipendenza dall’industria musicale gestita dalle major.
Siete entrati nella scena con il mantra “sei tutto il porno di cui ho bisogno”; in questo periodo, invece, di cosa sentite il bisogno?
Di una pausa. Abbiamo registrato e pubblicato sei dischi in dieci anni, senza mai fermarci con i concerti. In realtà ci fermeremo per scrivere un nuovo disco senza prendere il fiato, siamo pazzi.
Sono davvero finiti i tempi in cui si doveva avere paura che ci cascassero i denti per sorridere?
Abbiamo bisogno di questi denti per sorridere ma anche per mordere.
La vostra gioia di vivere male continuerà ad essere irreversibile per sempre?
Ma certo, siamo fatti così. Non siamo nati per essere contenti di ciò che abbiamo fatto… per l’appagamento. Appena raggiunto un obiettivo, pensiamo subito a sconfessarci per rincorrerne un altro.
Il Monk si abbandona ad una festa che tutti abbiamo sentito nostra perché ha raccontato un pezzo di storia vissuta sulla pelle tra sorrisi, concerti, amori che vengono e vanno, la solita noia borghese, i viaggi, le partenze; i non ritorni, i dispiacere, la depressione.
Ma ora che l’indie è morto, siete pronti alla fine del mondo?