LAMANTE_NON CHIAMARMI BELLA

L’avevamo citata come esempio contrastante in un nostro articolo sull’accusa di povertà di contenuti che viene superficialmente mossa alle nuove generazioni: Giorgia Pietribiasi, che tutti conosciamo col nome di Lamante continua incessante e testarda a sviluppare con coerenza il suo progetto musicale, mantenendo l’autenticità, la trasparenza, la ricerca ed il messaggio tra le fondamenta della sua identità artistica. Il suo album In Memoria Di è stato da poco arricchito della nuova traccia Il mio risveglio; la sua tournée in continuo aggiornamento l’ha vista, il nove Gennaio, inaugurare il duemilaventicinque con In Memoria Di Un Concerto, live durante il quale ha presentato e testato il nuovo materiale a cui sta lavorando. In vista di queste evoluzioni, abbiamo voluto porre qualche domanda alla cantautrice e raccolto le sue opinioni.

Un giornalista tra i più critici, negli anni Ottanta scrisse: «si dimentica l’impegno e si
comincia a ballare»
, in quanto quella generazione di artisti aveva preferito i temi
privati a quelli pubblici. Così come oggi d’altronde, eccetto poche e rare eccezioni.
In che modo percepisci il potere della musica di creare una coscienza collettiva
attorno a problemi politici e sociali? Hai esperienze di momenti nella tua carriera in
cui hai sentito di aver allineato il tuo messaggio a un sentimento più ampio?

Ultimamente è uscita un intervista di Paolo Benvegnù che mi ha colpito molto, lui dice che
parla di temi privati e in quanto tale di privazione. La privazione è sicuramente un tema che
accomuna non tanto una generazione o un momento storico, ma l’essenza di essere umani. I
problemi politici e sociali ci sono e noi artisti possiamo prenderci carico di questo doveroso
tema sul mondo su cui puntare i riflettori, ma non dobbiamo dimenticare secondo me due
cose fondamentali: la prima è che è già fare politica scegliere di fare un mestiere come
quello del cantautore o comunque un mestiere che tende ad esprimersi e non ad esporsi
attraverso le note, i colori, la fotografia, tutto ciò che il mondo occidentale etichetterebbe
come “cose futili”. La seconda cosa che voglio sottolineare è che il cantautore a differenza
per esempio di uno scienziato che guarda il futuro, riesce o dovrebbe avere la capacità di
fare un istantanea del tempo presente e della condizione umana, e la condizione umana è a
priori della condizione sociale e politica che invece è conseguente. Andrea Appino un
giorno mi ha detto “noi riportiamo la morte al centro del palcoscenico” e ha ragione.
Riportiamo al centro del discorso quotidiano quello che ci rende umani, la morte, l’amore,
la vita, il sesso, e questo secondo me è l’atto più politico e collettivo che si possa fare e che
cerco di trasmettere con la mia musica.

Il mio risveglio è un’opera costruita sul senso di appartenenza, del ritorno. Mentre
ascoltavo la canzone, non ho fatto altro che avere nella testa il romanzo Nessuno
torna indietro
, che seppur con diverse ambientazioni, temi e paradigmi mi si
collegava a tutte le tue parole. In quel caso, alcune ragazze vivono in un collegio
universitario e sognano il loro futuro ma non sempre i loro desideri si possono
realizzare e una volta attraversato un fatidico ponte nessuna di loro torna indietro;
eppure cercano tutte di mantener vivo il contatto con la propria terra e la
propria casa. Nella tua canzone sento la stessa esigenza e lo stesso bisogno. Cosa per
te è, e sarà sempre casa e memoria?

Nessuno torna indietro“… è tanto vero quanto falso, questo titolo. E’ incredibile come la vita
continui imperterrita eppure certi luoghi, certi posti, non cesseranno mai di far parte della
propria esistenza. Lo sperimento ormai da quando a diciotto anni ho deciso di chiudere i battenti
e di andarmene, eppure quando è stata ora di scrivere il mio album d’esordio, un tassello
così importante della mia vita, non ho esitato un secondo a tornare nel profondo Veneto e a
farlo li nella mia terra. Sicuramente la terra dei miei avi, la casa di campagna di mio nonno,
la stalla, l’albero di marinelle, il monte Summano, sono tutti luoghi che compongono il mio
“orizzonte casa” e non cesseranno di esserlo, sicuramente vivranno più a lungo di me. Poi
negli anni ci sono stati anche degli incontri fondamentali che ad oggi se ci penso li vedo
come un tetto e sicuramente la dimensione del palco, so che quando questo tour In
memoria di finirà sarà come chiudere la porta di casa per un po’ ed io fuori con le chiavi
dimenticate sul comodino.

In memoria di hai dichiarato essere una sorta di album fotografico della tua vita ed è
stato un esperimento riuscitissimo. Come continuerai a scattare foto ora? Ti perderai
nella nitidezza o continuerai a tenere il fuoco sempre centrato? Saranno ancora
cartoline o diventeranno poster pop?

Tra i momenti più duri di quest’anno ci sono state anche queste domande. Ecco una Giorgia
che è sempre scappata e che ora pubblicando questo disco sperimenta la sensazione di
qualcosa che resta, che non si può cancellare né essere ignorata? Mi sembrava un punto di
arrivo, e in quanto tale i punti di arrivo sono punti riempiti e quindi non necessitano di
essere raccontati. Poi confrontandomi con gli altri ho scoperto che forse “restare” è un
sentimento di partenza, allora anche se non sono molto ferrata in fotografia
maldestramente ora sto facendo un po’ di istantanee di questo momento, sento che le nuove
canzoni stanno andando in una direzione inaspettata, difficile sapere che cosa diventeranno,
per adesso mi sembrano i negativi delle pellicole di rullino.

Un tuo commento sugli spazi occupati che in questi giorni hanno ricevuto altre strette
e forse presto saranno sgomberati. Fossi nata un decennio prima la tua musica
avrebbe visto sicuramente quei luoghi come palchi d’elezione. Oggi sembrerebbe che
il confine tra intrattenimento e attivismo sia sempre più ampio. Tu dove tracci questo
confine?

La possibilità di occupare luoghi e spazi si fa sempre minore e mi rattrista parecchio. Il
sentimento di ribellione è importantissimo per creare un’identità, ed esiste solo se c’è
qualcosa da contestare, un’autorità da criticare. E’ come il rapporto genitore-figlio. Il
genitore ahimè nasce per essere distrutto dal figlio che trova necessaria la guerra per
autodeterminarsi e poi ricongiungersi con il tempo, ma sono necessari tutti i momenti di
rottura e di scontro, cosa che il nostro paese ci rende sempre più difficile fare, un po’ per le
nuove politiche adottate e un po’ perché oramai le grandi istituzioni si stanno sgretolando, lo
stato e il governo non hanno più la credibilità di un tempo. Ora è tutta una poltiglia grigia di
sofisti e politicanti. La storia ci insegna che per ogni grande potere (dittatoriale o
democratico che sia) si forma altrettanto un grande contro-potere, e per ogni piccolo potere
la risposta è equivalente ad essa.
L’intrattenimento e l’attivismo si allontanano sempre di più per la censura sistematica che
viviamo ma è anche vero che musica ed intrattenimento si stanno mescolando sempre di
più, basti pensare a tutti i programmi televisivi di talent, penso sia questo il motivo
principale per cui l’attivismo sta prendendo una rotta diversa, ha pochi punti in comune
oramai con la musica che si fa oggi.
Sono d’accordo quando dici che un tempo i luoghi occupati sarebbero stati il mio palco di
eccellenza e in effetti io ho cominciato a suonare con i miei amici proprio negli unici posti
occupati che c’erano a Schio e nei dintorni è stata la mia prima esperienza con un pubblico,
la prima volta che mi sono messa su un palco.
Ora le persone che fanno attivismo hanno cambiato luogo, posti, si organizzano festival
dedicati, si va poco in piazza e si creano spazi di incontro online, la mia dimensione è con le
persone, non mi interessa il palco che mi ritrovo sotto i piedi, ripeto che essere una
cantautrice donna nel nostro paese è già fare attivismo.

A cura di Saverio Beccaccioli e Carlotta Procino.

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