giovani artisti superficiali

Probabilmente l’accusa più frequente mossa alla Generazione Z è quella della superficialità, della pochezza di contenuti. La loro musica non fa eccezione: possiamo spesso trovare questa “non qualità” affibbiata agi artisti più giovani e ai loro prodotti musicali.

Ma perché succede?

Perché si tende a pensare che i giovani artisti siano superficiali?

La spiegazione in realtà potrebbe essere molto semplice. La comunicazione intergenerazionale, si sa, non è così frequente o limpida. Chi è più avanti con l’età non si prende spesso la briga di provare a capire il disagio emotivo delle persone più giovani, né il mondo in cui esse vivono, i loro linguaggi e punti di vista. Il risultato è che questa mancanza di empatia provochi inevitabilmente un’incomunicabilità tra le parti.

Mancando tale dialogo intergenerazionale, diventa necessario affidarsi ad una serie di segnali concreti e uno di questi è la musica.

La musica, infatti, è un prodotto culturale capace di rappresenta un gruppo di persone. Come tale, finisce per incarnare i temi cardine che quel gruppo fa propri.

Se ci basiamo su questo ragionamento è facile immaginare cosa possa, in modo superficiale, arrivare delle nuove generazioni, quando alla radio vengono passate le trite e ritrite hit di unico stampo sonoro e ridondante tematica a scelta tra “sesso, soldi e droga”, che anche quando non sono cantate in prima persona dalla GenZ sembrano comunque scritte per accontentare quello che si ritiene essere il suo gusto. L’esito della mancanza di comunicazione, dunque, è un giudizio che viene emesso su un prodotto veicolato da media mainstream e davvero poco aderente alla realtà – e da una mentalità nostrana che tende a privare un giovane della possibilità di spessore emotivo e artistico, come se l’età anagrafica determinasse e limitasse il peso dell’esperienza umana.

È vero che gli artisti giovani non hanno niente da dire?

Accusati di essere contenitori vuoti, guidati solo dal desiderio di un guadagno facile e di una fama effimera, i giovani cantautori si ritrovano a fare i conti con una dura reputazione e a dover lottare contro i Golia del mercato musicale, che di questi messaggi bidimensionali e consumistici hanno fatto il loro stendardo.

Ma la verità è che se si avesse la voglia di andare più in profondità, leggere tra le righe e magari anche di addentrarsi nei territori della musica emergente, si scoprirebbe un panorama molto diverso.

Di cosa vuole parlare la Generazione Z?

Esattamente di quello di cui l’essere umano ha sempre voluto parlare: di amore, di amicizia, di frustrazione, di leggerezza, del sociale, delle proprie esperienze di vita… proprio come farebbe un “adulto”, spesso anche con più maturità espressiva. Questo periodo storico, tuttavia, ha spostato maggiormente il focus sulla salute mentale – sempre più spesso nei testi dei giovani ritroviamo il tema del trauma e del dolore emotivo, della manipolazione, delle relazioni tossiche o della difficoltà di comunicazione. E ancora, del desiderio di tornare a vivere normalmente, di riprendersi quella spensieratezza che un trauma collettivo come quello della pandemia ha sottratto alla loro giovinezza.

Di cosa parla la musica della Generazione Z

Abbiamo appurato che la musica dei giovani artisti non è tutta così superficiale come sembra. Ma facciamo alcuni esempi:

Partendo dalla “nicchia” possiamo citare In Memoria Di, l’album d’esordio di Lamante e la crudezza viscerale con cui in ogni brano regala un lembo del suo vissuto a chi è pronto ad empatizzare con l’esperienza di una realtà non gentile, tagliente, che tipicamente concede prima del tempo una profondità considerata non adatta alla giovane età.

Lo avresti mai detto? Dopo le mani che mi hanno sporcata
Fumo e penso: tu non chiamarmi “bella”, non lo sono mai stata.

Persa e mai cercata
toccata e mai trovata, per le mie solitudini
dormire a pugni chiusi mi fa sentire a casa.

Impossibile non citare la giovanissima Emma Nolde, elegante tessitrice di musica, parole e contenuti. Niente nelle sue liriche e nelle sue scelte sonore lascia in dubbio rispetto all’estrema capacità di osservazione dell’artista, della sua spiccata sensibilità e capacità di esprimere un senso profondo in poche manciate di minuti.
Nella sua Mai Fermi riesce a descrivere con precisione l’affanno e la saturazione dei tempi moderni, l’imposizione di vivere i suoi ritmi frenetici ed alienanti, fino alla perdita del sé: un contratto che firmiamo semplicemente venendo al mondo.

Presto anche tu sarai lì con loro, con la tua lista di cose da fare avrai molte più mappe che strade, meno stelle che cose da desiderare.
Almeno salvati tu, chiuditi in casa, chiudi le finestre
che se non conosci niente, non avrai niente da sognare;
salvati piccolo me, che noi ormai non siamo più in tempo
destinati a correre sul posto, ma comunque a correre lo stesso.

Entrando in un panorama più mainstream, dove tendenzialmente la ghigliottina del “pop” inteso come “facile” tende a semplificare le sonorità e ad appiattire il linguaggio, cerchiamo di capire come canzoni dai toni decisamente meno articolati e profondi possano comunque restituirci un dettagliato quadro generazionale che dovrebbe essere colto, forse, come grido di aiuto. Prendiamo un artista come Naska, giovane esponente della nuova wave contaminata del pop-punk, tornato recentemente di moda. La sua “Punkabbestia” è un perfetto esempio di una canzone che, a partire dal titolo, trasuda leggerezza e superficialità, come il suo personaggio scanzonato richiede. Se le si concedesse un’analisi più approfondita e distaccata dalla critica musicale, emergerebbe la frustrazione di un giovane che sente di non avere un futuro di cui preoccuparsi. Ascoltandone i contenuti, quello che possiamo capire è che vivere nel presente contemporaneo vuol dire anche vivere aggrappati al “qui ed ora”, rifugiandosi in una sregolata superficie di alterazione costante della propria percezione, che allontana il pensiero da un “oggi” che, se vissuto lucidamente, non farebbe altro che indicare i connotati poco amichevoli del futuro che si prospetta alle nuove generazioni.

Se poi andrà tutto a fanculo, vi inviterò al funerale
mamma, scusa, non riesco
Il futuro che io m’aspettavo e ti promettevo che non era questo
poi metterò la testa a posto, ma un giorno, non adesso.

Ma essere giovani nel 2024 (o esserlo, in generale) significa anche aver voglia di vivere nonostante tutto: è quello che ci racconta cmqmartina in Kids never sleep, celebrando i colori della sua generazione, rivendicando il diritto dei suoi coetanei di avere un posto, una voce e una leggerezza consapevole, con la quale resistere ad una realtà opprimente che li vuole incastrati in un presente che non è a misura di futuro.

Kids never sleep
Con i fumogeni
Kids never sleep
Le grida arrivano fino a qui
Odiano tutti gli scudi
I caschi, gli abusi
The kids never sleep

Di esempi di musica giovane e ricca di significato ce ne sono a sufficienza per sfatare il falso mito che gli artisti di oggi non abbiano nulla da dire.

La superficialità non risiede nella musica che ascoltiamo, ma nella società che creiamo. Come ogni forma artistica, la musica è un rifesso dei tempi che corrono e dovremmo forse recuperare la capacità di osservarci ed ascoltarci attraverso di essa, e forse – chissà – una volta tanto riflettere su quello che ci circonda.

A cura di Carlotta Procino ed Eleonora Freguglia.

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