Giorgio Canali è un fatto subculturale. Cinque minuti con lui sono sufficienti per ricordarsi che il punk rock, prima che dal pogo, passa dalla testa. Cinque minuti bastano per ricordarsi che la musica non dovrebbe essere un sedativo al troppo pensare, ma uno strumento di resistenza alla pigrizia della mente e non solo. Dalle parole al non verbale, ogni cosa in Canali ti grida in viso che l’arte tutta è una questione politica, che “l’indisciplina è una forma perfetta di libertà “, e che della dabbenaggine non ce ne frega un cazzo.

Lo abbiamo incontrato prima del suo concerto al Monk di Roma il trenta maggio per scambiare due chiacchiere sul suo passato artistico e ascoltare il suo pensiero riguardo al presente, il risultato è stato uno scambio genuino e senza filtri che al giorno d’oggi risulta a dir poco necessario.

Se ti dicessi “una cresta non fa primavera”?

«Ecco, vedi?! Non li volevi tirare in ballo i CCCP, e invece! Allora, io ho sempre sostenuto che i CCCP col punk non avessero nulla a che vedere. I CCCP erano rock d’avanguardia, anche molto figo. (Giovanni Lindo) Ferretti scriveva delle cose da paura e gli altri mimavano una finta rock band. Tra l’altro: le batterie erano sintetiche, quindi col punk c’entravano ben poco. Però evidentemente, allora come adesso, o adesso come allora, i CCCP sono definiti uno dei primi gruppi punk italiani; ignorando i Kina, ignorando i Negazione, ignorando i Not Moving che, cioè – cazzo! Quindi… amen!».

Tutti questi gruppi citati introducono perfettamente la domanda che sto per farti, dato che con te affrontiamo un pezzo di storia del punk italiano. Parliamo di una scena che esiste ed è esistita in modo anche molto consistente, ma che il nostro pubblico potrebbe non conosce per via dell’età anagrafica e di quel luogo comune che vede certe sonorità non appartenere al Bel Paese. Negli ultimi mesi, “Rumori”, rivista che resiste nel cartaceo, ha dedicato le sue copertine a band come Negazione e CSI. Può essere un buon messaggio da mandare alle nuove generazioni che stanno riscoprendo un’attitudine punk nelle loro sperimentazioni musicali, che ne pensi?

«Be’ se l’attitudine dovrebbe essere quella punk allora non so dirti se il messaggio sia ben veicolato, visto che i CSI erano ancora meno punk dei CCCP! Anche là, più che altro posso parlare di rock trasgressivo, d’avanguardia, trasversale…».

Tu potresti essere definito un artista trasversale, non trovi? È evidente nel passaggio dai CCCP ai CSI, hai abbracciato più sfumature di generi e rappresentato un punto di unione tra la scena punk new-wave e quella del rock, penso ai Litfiba o agli Afterhours, all’epoca del grunge.

«I CSI sono nati nell’epoca del grunge, sì… anche se col grunge non c’entravano un cazzo! Forse l’elemento più grunge ero io perché scimmiottavo le chitarre americane, non sapendo suonare facevo così. Adesso che ho imparato a suonare scimmiotto le chitarre americane lo stesso».

E secondo te siamo riusciti ad aggiungere del nostro, a quello “scimmiottamento”? L’omaggio dei Metallica durante la data milanese del 29 Maggio fatto ai Prozac+, gruppo all’epoca sottovalutato, può farci pensare che un’impronta personale in Italia sia stata lasciata?

«Ho visto! Faceva cagare. Una roba infernale, se lo devi fare così non farlo! Per l’impronta non saprei dirti, i Prozac+ col tempo si sono andati ad insinuare nella frangia pop e quindi erano anche i più facili da trovare. Sì, probabilmente sono stati sottovalutati, ma sono anche saltati fuori in un momento in cui – e chiedo scusa ai Prozac+ e a Gianmaria (Accusani) – c’era roba molto più figa in circolazione! C’erano gli Afterhours, i Marlene Kuntz… gli stessi CSI! Non è stato facile ritagliarsi uno spazio. Loro poi, come ti dicevo prima, se lo sono andato a creare in quel mondo là. Io mi ricordo una cosa bellissima: ero a un concerto dei Prozac+ a Ferrara e nel pogo infernale di diciottenni c’era un odore spaventoso di shampoo Johnson’s Baby e se qualcuno ti pestava i piedi ti chiedeva scusa. Viverselo è fantastico: Punk e Johnson’s Baby! Sono stronzo, lo so. Sono molto stronzo!».

Mi dici un gruppo della scena attuale, anche internazionale, che ti ha colpito?

«Forse i Fontaines DC, che mi hanno colpito con il primo album ma già col secondo un po’ meno. Poi boh, sono io ad essere facilmente stancabile, sono io che non ascolto un cazzo di niente e quindi alla fine non mi appassiono neanche. Io non ce la faccio ad ascoltare la musica degli altri, io ascolto la mia e mi piace moltissimo. Quella degli altri mi piace giusto se sono miei amici, altrimenti non me ne frega un cazzo!».

C’è qualche artista italiano che ti incuriosisce, invece?

«C’è sempre roba che incuriosisce, in giro. C’erano i Bava quindici anni fa, a Milano: un gruppo punk assolutamente underground perché non se li inculava nessuno. Poi quel geniaccio di (Lorenzo) Giuggioli, il cantante, ha fondato i Pecora, un progetto con basi elettroniche e testi dementi. Non demenziali, dementi. Adesso invece è uscito da poco Albano Eroina. Questa è roba che nessuno conosce, perché alla gente non gliene frega un cazzo della musica buona, delle parole sensate, delle cose raccontate per bene. Potrei fare anche il nome di Mattia Prevosti, un cantautore di Varese che ho prodotto qualche anno fa e non se l’è inculato nessuno. Lui ha fatto un gran bell’album di debutto ma… “Ciao!”. C’è anche un album in cantiere con la mia etichetta, la Psicolabel, di un cantautore e attore genovese che si chiama Alex Viola. L’album è bellissimo, ma lo faremo uscire? Non lo so. Ci sono delle cose belle in giro, basta cercarle».

E tu invece cosa cerchi di comunicare nei tuoi live?

«Io credo che i miei live siano incentrati sul detestare l’ignoranza comune e la dabbenaggine. Jorge Luis Borges diceva: “la mayorìa de la gente es tonta”. Non è un concetto popolare – anzi è quasi fascista – ma è così, altrimenti non avremmo questi vertici che ci comandano a tutti i livelli: comunale, regionale, nazionale, europeo, mondiale. Sono i tonti, che votano».

Dalle sue parole possiamo evincere tutta la necessità politica che contraddistingue l’arte con la A maiuscola. Quel movimento che attraverso le note prende una posizione netta e ci spinge a ribadire che “Giorgio Canali ci piace stronzo”: senza peli sulla lingua, senza censure e in grado di mobilitare le coscienze.

a cura di Carlotta Procino, intervista di Giuliano Girlando.

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