Entrate nel NUOVOSPAZIOTEMPO di Emma Nolde.
Ecco il tuo posto, benvenuto al mondo.
NUOVOSPAZIOTEMPO, il terzo album dell’artista toscana Emma Nolde, è la release di cui avevamo bisogno.
Uscendo di casa sui primi confusi rumori di chiavi che aprono la serratura del disco con la traccia Intro, Nolde ci fa scivolare insieme a lei in una marcia ostinata di routine, dalla cui passività ci si svincola progressivamente per poter osservare dall’alto i tempi che corrono (in tutti i sensi) e in quel quadro generale, affondare le dita per recuperare l’Essenziale. NUOVOSPAZIOTEMPO denuncia la fatica dello stare al mondo in un’epoca che, correndo veloce, si allontana dal sangue e dalle ossa delle cose, e che consumando freneticamente ha perso il privilegio di stare, di sentirsi.
Questa sensazione di affanno e stordimento viene dichiarata fra le trame di brani energici, muscolari, dove l’occhio critico dell’artista condivide le sue riflessioni introspettive con la pulizia e la freschezza che lo contraddistinguono, ed è ulteriormente messa in risalto dal contrasto gentile con gli attimi di respiro e sospensione che ci vengono regalati nei brani più lievi; veri e propri momenti di pausa che Nolde si concede per recuperare ossigeno e riflettere. Tra sonorità immediate ed eleganti, ricchezza di significato e tutta la personalità che la rende sempre artisticamente a fuoco, Emma Nolde ci prende sotto braccio e ci invita a correre al suo fianco questa maratona verso il recupero del Senso.
Noi abbiamo volentieri corso accanto a lei, cogliendo l’occasione per approfondire insieme:
Dopo un attento ascolto, Nuovospaziotempo risulta un’accurata “analisi romanzata” del rapporto che abbiamo col concetto di tempo. É dunque facile capire che la tua posizione è in contrasto rispetto a questa corrente veloce che ci strappa via da noi stessi; grido che sembra già liberarsi dalla foto scelta per la copertina dell’album, in cui una prospettiva claustrofobica e mossa creata dal cemento scuro di due alti palazzi porta l’occhio del fruitore a correre “dentro” la fotografia e quindi verso la tua figura, centrale e a fuoco, che invece appare correre nella direzione opposta e scontrarsi con chi la sta guardando. In un periodo storico così saturo e in un mondo così veloce, pensi che la stasi possa essere un atto di ribellione?
Sì, più che una stasi passiva, il vero atto di ribellione è sapersi attivamente concedere a un qualche tipo di stasi. Non stagionalmente, come facciamo con le vacanze, che sono un momento di vuoto, spesso, solo apparentemente vuoto, ma riempito di tutte le cose che si vedono o si fanno. La vera ribellione, che io stessa non sono capace di fare, è quella di stare in un vuoto vero. Senza libri, settimane enigmistiche o viaggi. Sapessimo farlo almeno un’ora al giorno, secondo me, saremmo diversi.
Nel brano Punto di vista (ft. Niccolò Fabi) emerge una forte necessità di svincolarsi dalla rigidità di schemi (sociali e psicologici) autoimposti per concedersi un momento di respiro da questa corsa alienante che ci vede protagonisti, fino a rendersi conto che recuperare la propria autenticità, smettendo di nascondersi, è una cura. Come ci suggerisce l’ultima sezione del brano, questa libertà passa anche dall’incontro di prospettive diverse dalla nostra e dallo scambio con l’altro. Se si parla di empatia e connessioni, l’arte è forse il canale diretto per eccellenza in grado di agevolare tale processo e persino accomunare il dissimile? In che modo il concetto di “arte per l’arte” si applica alla tua musica?
Nel caso specifico di questa canzone, “l’ arte” (io faccio sempre fatica a scriverlo senza virgolette quando parlo di qualcosa fatto direttamente da me) è servita proprio a riavvicinarmi alla persona a cui parlo. È stata proprio d’aiuto. Quindi penso che sì, tanti mesi per scrivere quei tre minuti di canzone hanno portato avanti di anni la nostra amicizia. Io scrivo canzoni che al massimo possono essere utili per questo, perché io comunichi con qualcuno. Non ci penso proprio a tutte le altre cose, per me esiste solo l’arte per l’arte, altrimenti non è arte. Per quanto sembri una frase a effetto, penso sia proprio quello che è.
Ritieni che la funzionalità sociale della musica sia più importante della sua bellezza intrinseca? Nel tuo processo creativo, quanto consideri il tuo pubblico e le loro esperienze socio-culturali? E viceversa: In che misura ritieni che la tua musica possa influenzare il pensiero critico del tuo pubblico? Vi è un intento educativo nella tua proposta musicale?
Penso che la musica, come la poesia e altre forme di espressione creativa, abbia il dovere di considerare l’altro; non per adattarsi o appiattirsi, ma perché il messaggio arrivi chiaro. Le canzoni scritte bene sono quelle che non hanno bisogno di spiegazioni, che non devono celare il significato. Io penso proprio, quando sento la necessità di raccontare qualcosa, di avere il dovere di farmi capire, o comunque, di prendere in considerazione che ci sarà qualcuno dall’altra parte a cui non voglio mettere bastoni tra le ruote. Troppo spesso questo si traduce in eccessiva semplificazione, quello che intendo io invece è andare dritta al punto. Nella prima stesura di Universo Parallelo io iniziavo a parlare dell’incontrare mio babbo quando aveva la mia età alla fine della canzone, e non si capiva. Quindi ho deciso che l’incontro doveva essere la prima cosa e la canzone inizia così “in un universo parallelo io ti incontravo quando avevi i miei anni, i capelli più lunghi e la testa leggera”. Da lì in poi, non serve prendere compromessi di suono o struttura, tutto è più chiaro e quella scelta per l’altro mi ha fatto avere molta più libertà in tutto il resto della canzone.
Nel brano Sconosciuti c’è un passaggio che recita “noi pensiamo che sia amore, ma è solo una città da visitare”, immagine che racconta con molta precisione quella sensazione che si prova sulla soglia di una nuova relazione, quando è ancora tutto da esplorare e non abbiamo garanzia alcuna che in quella città ci sentiremo tanto accolti da voler restare. Secondo te, in una società bulimica in cui siamo isolati e alla constante ricerca di stimoli, in che modo è variata, se è variata, la percezione e l’importanza che diamo all’amore, sia in senso ampio che romantico, nella lista dei “beni primari” necessari per vivere?
L’amore è sceso al secondo posto, al primo ci sono gli obiettivi, la carriera, il lavoro. I così detti “sogni” che a volte sono fatti di tutto fuorché di incoscienza e fantasia. La frase “noi pensiamo che sia amore, ma è solo una città da visitare” l’ha detta Leo, un mio amico e collaboratore che quando parla, senza saperlo, scrive le canzoni con me. Ci tenevo a dirlo.
Sembra che questo disco sia più pop rispetto ai precedenti; non tanto nel contenuto ma a livello sonoro e d’impatto diretto con l’ascoltatore. Hai provato a sacrificare dei dettami stilistico- tecnici maggiormente ricercati (che invece nei tuoi prodotti precedenti è ben evidente) per far arrivare in maniera più diretta il disco? (Il che non assume un’accezione negativa ma solo una scelta).
Assolutamente sì, c’è stata una forte volontà di non mettere ostacoli tra me e chi ascolta. Ho capito che per me conta il messaggio del testo della canzone, che può essere più semplice, più complesso, ma deve essere chiaro e espresso bene. Il resto deve essere d’aiuto, di supporto, non d’intralcio. Deve far fare meno fatica. Poi, a me il pop piace, quindi per me non ha assolutamente un’accezione negativa. Bisogna partire da questo cambio di mentalità e smettere di pensare che il pop sia qualcosa che ha un’accezione negativa, se si vuole che ciò che ascoltiamo in radio sia un po’ più vicino a noi.
Trovare spazio nel tempo, imparare a dare al tempo uno spazio. Ricordare che il tempo è un concetto liquido dipendente dalla nostra percezione ed esercitarsi, quindi, a gestirlo senza esserne gestiti. Saperlo fermare, senza trattenerlo. Capire che la nostra è una durata limitata e che sarebbe dunque saggio goderne senza renderci vittime consapevoli della cultura performativa. Questa ricerca di essenziale che ci accompagna traccia dopo traccia, è nell’essenzialità che chiude la sua corsa: poggiandosi sulle corde di una chitarra acustica, in un brano, 2, in cui l’amore permette alle lancette di scorrere lente in uno spazio piccolo e “la noia ora è tempo”. Ci si siede, finalmente, accanto al sangue e alle ossa delle cose.
NUOVOSPAZIOTEMPO di Emma Nolde è un’opera sincera di una musicista che mantiene salda la presa sulla genuinità della sua espressione; una testimonianza di quanta necessità ci sia, oggi, di restituire all’empatia un ruolo centrale anche nell’arte, e che l’intrattenimento non è costretto ad essere un concetto privo di contenuto.
La musica ringrazia.
A cura di Carlotta Procino e Saverio Beccaccioli.