Emergenti divorati dalla music industry: cosa ci insegna Chappell Roan

0
Chappell Roan grammies

Cosa significa essere un emergente in un’industria musicale sempre più veloce e travolgente?

Lo ha raccontato la cantante Chappell Roan, che quest’anno ha vinto il prestigioso Grammy come migliore artista esordiente.

Nel suo discorso di accettazione del premio ha voluto condividere la sua esperienza come artista emergente catapultata in una relazione unidirezionale con le case discografiche.

Mi sono detta che se mai avessi vinto un Grammy e avessi potuto presentarmi qui davanti alle persone più potenti della musica, avrei preteso che le etichette del settore che lucrano milioni di dollari sugli artisti offrissero un salario vivibile e l’assistenza sanitaria, soprattutto agli artisti emergenti.”

Roan racconta come la sua prima esperienza con un’etichetta musicale l’abbia lasciata non solo delusa, ma oggettivamente in una situazione di pericolo e incertezza. Contrattualizzata quando era ancora minorenne e successivamente licenziata, la cantante, che aveva scelto di dedicare tutta la sua vita al proprio progetto musicale, si è ritrovata a dover cercare un lavoro di ripiego durante l’emergenza Covid-19, senza alcuna esperienza lavorativa pregressa. In America, questo si traduce nell’impossibilità di beneficiare dell’assistenza sanitaria.

Chappell Roan porta all’attenzione dell’industria musicale l’esempio di una giovane artista che è riuscita a conquistare le classifiche nonostante tutto. Ma per un artista che ha raggiunto la vetta ce ne sono migliaia che faticano nel rimanere in piedi, sfiancati da richieste sempre più pressanti e impellenti di etichette incapaci di tutelarli come veri e propri dipendenti.

È un pretendere continuo, che non rispetta la libertà artistica, i tempi creativi, tantomeno quelli personali. Un emergente sotto contratto oggi più che mai si trasforma in una macchina da sfruttare fino all’ultimo per dare vita a un prodotto che vende e paga (ma, attenzione, mai l’artista).

Ma lo sfruttamento non si ferma solo alla produzione di un brano o di un album. Riguarda anche la promozione.

Nel contesto americano la dimostrazione di tutto questo sta nelle numerose denunce riportate da artisti anche di grosso calibro, come ad esempio Halsey, che hanno riportato le pressioni fatte dalle loro etichette per rendere virale lo snippet di un brano prima di rilasciarlo. Sembrerebbe, infatti, che le case discografiche abbiano iniziato a prioritizzare la promozione social e in particolare la possibilità di trasformare un brano in un audio virale. Per farlo, serve la presenza dell’artista, su Instagram e TikTok, continuamente. Pena: la mancata pubblicazione del brano.

Essere un artista emergente in Italia: è così diverso dagli USA?

Se il discorso di Chappell Roan ai Grammy 2025 ci sembra molto lontano dal contesto che viviamo in Italia probabilmente questo è dovuto alla poca familiarità che abbiamo con il concetto di assistenza sanitaria privata (per fortuna).

Ma le tutele per gli artisti, per gli emergenti in primis, mancano anche nel nostro Paese.

Non è un segreto che in Italia le opportunità per emergere nella musica non siano esattamente dietro l’angolo. Colpa di una cultura che non tratta le discipline artistiche (musica in primis) come un lavoro, ma semplicemente come una passione da coltivare nel tempo libero. Ecco che allora tantissimi giovani artisti rinunciano al percorso che per anni hanno sognato, per rivolgersi a qualcosa considerato più pratico e praticabile.

Anche per coloro i quali scelgono di seguire la propria vocazione artistica, le strade sono due: cercare di raggiungere una major o proseguire sulla via dell’indipendenza. Nel primo caso, anche ammettendo che si riesca a superare la competizione spietata per essere notati, se si arriva al contratto si è costretti a sostenere ritmi di pubblicazione faticosissimi. Nel secondo, i mezzi economici (necessari purtroppo per farsi conoscere) scarseggiano e l’unica possibile fonte di guadagno rimangono le royalties da fame delle piattaforme di streaming.

Rimanendo sul tema royalties, precisiamo che la situazione non è tanto migliore per chi riesce a legarsi a una casa discografica. Le royalties riconosciute a chi pubblica sotto un’etichetta possono infatti andare dal 5% al 22%, variabile che dipende principalmente dalla fama dell’artista ma che lascia il grosso del guadagno sempre in mano alla casa discografica.

L’esperienza portata da Chappell Roan sul palco dei Grammy ha dunque molti punti in comune anche con quella degli artisti italiani. Usare un’occasione così grande e importante per portare all’attenzione dei colossi della musica le ingiuste condizioni di lavoro (perché di lavoro si tratta, ricordiamolo) dei giovani artisti è stato un uso sapiente e importante della propria visibilità.

Che questa possa essere un’occasione per riflettere su un cambiamento sistemico e profondo dell’industria musicale?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *