Di protesta e di silenzio: la censura che (non) è uguale per tutti
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L’esclusione di Tony Effe dal concerto di Capodanno a Roma ha innescato una miccia che sta scuotendo gli animi della musica italiana. La decisione del Comune, motivata dai contenuti considerati offensivi e misogini in alcune canzoni del rapper, ha scatenato un dibattito acceso sui limiti della libertà artistica e sulla responsabilità sociale degli artisti.
L’esclusione di Tony Effe ha portato anche altri artisti a scegliere di ritirarsi dall’evento per solidarietà: prima Mahmood, poi Mara Sattei, fino a lasciare il palco di Capodanno deserto.
Sappiamo che spesso nella musica si trova una fonte di costruzione della propria identità, ed è innegabile che i testi del rapper non rappresentino certamente un esempio positivo. Quasi in ogni sua canzone figurano versi in cui le donne vengono oggettivizzate, mercificate o degradate:
“Prendi la tua troia, le serve una museruola. Metti un guinzaglio alla tua ragazza. Ci vede e si comporta come una troia”
“Bitch ogni giorno non mi lasciano libero. Le ordino da casa come Deliveroo”
“Lei la comando con un joystick. Non mi piace quando parla troppo. Le tappo la bocca e me la fotto”
La presenza di queste parole su un palco che catalizzerà l’attenzione di un’ampia fetta di pubblico, preoccupa e scatena il dibattito tra chi sostiene fermamente la necessità di escludere questa narrazione dagli schermi televisivi e chi invece si oppone alla censura.
E in effetti, non è la prima volta che si accende il dibattito proprio sulla censura, ma stavolta il caso sembra aver avuto una risonanza particolare: ma perché la “censura” di Tony Effe sta facendo così tanto rumore?
Tony Effe e Ghali: cosa cambia tra i due casi di censura?
Di censura nella musica se ne era parlato anche a inizio anno, con l’edizione 2024 del festival di Sanremo.
A rendersi protagonista della vicenda in questo caso fu Ghali, che scatenò il panico della Rai con il suo messaggio di opposizione all’occupazione di Gaza e alla guerra in Palestina, pronunciando un chiaro stop al genocidio. In quell’occasione piovvero critiche sull’artista, di cui la più gettonata fu: “il palco dell’Ariston, così come uno show televisivo, non è il luogo adatto dove portare un messaggio politico”.
Ma un artista non ha forse una responsabilità sociale? Non è un suo diritto, in quanto cittadino, quello di raccontare la realtà che lo circonda?
I giornali hanno ripreso la notizia per diversi giorni, ma come spesso succede, il clamore attorno al gesto di Ghali si è spento rapidamente. Questo, forse, anche perché a febbraio nessun altro artista scelse di sostenere, non tanto il messaggio lanciato dal rapper, ma la sua persona, lasciandolo solo contro i tentativi di censura da parte della Televisione.
La Rai ha cercato di correre ai ripari il prima possibile, lanciando innanzitutto un comunicato firmato dall’Amministratore Delegato che esprimeva vicinanza a Israele. Un gesto che è andato in direzione più che contraria rispetto alle parole di Ghali e che ha mostrato a chiare lettere la posizione dell’emittente televisiva più potente d’Italia.
Peccato che nel caso di Ghali la censura non si sia fermata a questo. Qualche mese dopo, infatti, il cantante italo-tunisino ha dichiarato alla trasmissione radiofonica “Real Talk” di Middle East Eye: “Sono stato cancellato dal Radio Italia Live a Napoli per aver chiesto un minuto di silenzio per la Palestina”.
Di fronte al forfait di così tanti artisti al concerto di Capodanno ci chiediamo come mai questo moto di solidarietà stenti ad arrivare quando di mezzo c’è il contenuto politico, come nel caso di Gahli?
La vicinanza mostrata dagli artisti italiani nei confronti di Tony Effe non è passata inosservata nemmeno a Ghali stesso, che sceglie in silenzio di compiere un altro gesto simbolico. Sul suo profilo Instagram, ad oggi, sono stati eliminati tutti post eccetto uno: quello della sua dibattuta esibizione a Sanremo, al grido di Stop al genocidio.
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Probabilmente il motivo è molto semplice da indovinare: esporsi contro una censura che riguarda un collega è comodo quando la ragione alla base della censura non è così controversa quanto la questione palestinese. E soprattutto, nel caso di Tony Effe, prendere posizione accanto al collega non implica alcun conflitto con potenti organismi mediatici come la Rai, ma al massimo un blando battibecco con il Comune di Roma.
Ma attenzione: potrebbe essere anche una questione di mercato. Se andiamo a guardare le case discografiche di Tony Effe, Mara Sattei e Mahmood notiamo una curiosa coincidenza: fanno tutti parte della stessa major, Universal Music Group. La scelta di sostenere Tony, dunque, potrebbe essere ricondotta anche a una logica di coesione imposta (o quantomeno “caldamente suggerita”) dall’etichetta a cui tutti questi artisti appartengono.
Libertà di espressione, o scelta di Marketing?
Aggiungiamo poi quello che sembra un tentativo forzato di pulire la propria immagine pubblica con gesti eclatanti che allontanano l’attenzione dall’origine del problema:
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Tony Effe: da Capodanno a Sanremo senza censura
Infine ci chiediamo: la scelta di escludere Tony Effe dal concerto Capodanno ha davvero senso?
Di per sé, se l’intento fosse quello di non offrire spazio mediatico a un personaggio dalle liriche sessiste, potremmo dirci d’accordo con la scelta di non accogliere il cantante sul palco dell’evento romano.
Peccato, però, che appena 2 mesi dopo lo vedremo salire su un palco ben più importante: quello dell’Ariston, nell’edizione del festival di Sanremo che si preannuncia tra le più “politicamente neutre” di sempre; quasi un ritorno alla pulizia contenutistica del cantautorato avvenuta anni ’80 in cui, per citare Paolo Carusi in Viva L’Italia: “si abbandonò il tema pubblico in favore di quello privato” .
Carlo Conti ha infatti dichiarato che in questa edizione ci sarà meno impegno sociale, e più impegno “umano“, distogliendo lo sguardo dal “macromondo” per tornare a concentrarsi su relazioni e famiglia.
Che dai vertici Rai si vogliano limitare le possibilità di inciampare in nuovi e indigesti appelli politici, proseguendo sulla posizione presa lo scorso anno?
Cosa possiamo aspettarci da Sanremo 2025?
Forse, quest’anno, il vero festival della censura.
L’impressione che abbiamo in tutta questa storia, è che in questo momento ci stiamo concentrando sulla censura sbagliata e stiamo puntando il dito nella direzione errata. Ad avere i riflettori puntati contro dovrebbe essere invece la scelta di escludere l’impegno socio-politico da manifestazioni importanti come il Festival di Sanremo, così come la decisione di alcuni artisti di protestare contro una presunta censura solo quando l’etichetta discografica lo consente o lo incoraggia, o è minore il rischio di inimicarsi qualcuno, lasciando andare avanti – come spesso accade – chi da perdere ha poco o nulla.