Cassio, la musica come ancora di salvataggio: un dialogo interiore tra la vita e la società
Cassio è il progetto artistico del livornese Simone Brondi. Dopo le prime sperimentazioni in una band punk e in un gruppo gypsy-psichedelico, nel 2020 il cantautore rientra in studio per registrare il primo disco da solista. L’album, dal titolo “19 luglio 1944”, tratta esplicitamente le tinte più scure della coscienza. Dopo una serie di singoli, torna oggi con un nuovo lavoro “Felice a metà“, un mini EP di soli 9 minuti che racchiude 3 tracce di cui alcune già pubblicate (“Amore ti odio”, “Stazione”) e l’ultima, “Pistola“, rilasciata giovedì 18 luglio, che racconta un nuovo percorso e una nuova presa di coscienza con sè stesso e con il mondo esterno.
Il tuo mini ep “Felice a metà”, presentato a Milano il 18 luglio, è ricchissimo di nuovi spunti di riflessione: ti va di raccontarci qualcosa in più sul processo creativo dietro a questo nuovo progetto musicale e quali sono le tue aspettative a riguardo?
Il processo creativo che sta dietro a quest’Ep è molto semplice. L’ispirazione arriva ovunque e non è diverso da quello che era ieri o quello che ho in questo momento in cui sono seduto a rispondere a queste domande: nel senso, io sono costantemente in studio a registrare, sono costantemente alla ricerca di qualcosa. Scrivere le melodie, i testi – è una cosa che dico spesso e forse sembra una cazzata – per me è una terapia. Ci sono momenti in cui ho bisogno di scrivere tanto, altri momenti qualcosa non funziona e mi preoccupo, sto lì a scervellarmi, mi ammalo le giornate finché non trovo quella cosa che mi blocca.
Il tuo percorso musicale trova radici nel punk e nel rock, ma in un periodo della tua vita hai costruito il tuo stile artistico su un lato più gipsy-psichedelico: quanto pensi sia importante creare un’identità musicale che spazia tra i generi?
Beh… dipende da quanto interesse ha l’artista di crescere. Io se facessi tre canzoni di fila simili… mi romperei il cazzo da solo quindi ho proprio necessità di capovolgere le cose, di contraddirmi, di sbagliare. Non dico che chi non lo fa sbaglia, questo è un mondo libero, ognuno deve fare quel cazzo che vuole. Però io sono inquieto.
Quanto ha inficiato spaziare tra generi nella tua musica?
Tutto. Completamente tutto.In realtà alle volte non si può sapere perché magari alla storia, ai fatti io non sono nessuno… magari uno approfondiva un genere piuttosto che un altro… lo faceva forse meglio. Io che invece c’ho sempre “le tagliole nel letto” e cerco, scavo, mi flagello per inventare cose o per non essere insoddisfatto di quello che faccio probabilmente faccio un po’ di tutto… e tutto un po’ a cazzo.
In uno dei tuoi ultimi singoli, “Stazione” uscito a maggio 2024 trovi le note giuste nel cantautorato e ti esponi pubblicamente parlando della nostra società, mostrando il marcio che c’è all’interno e parlando senza peli sulla lingua dei “fascisti al governo”. Esporsi politicamente è un gesto quasi rivoluzionario oggi, tu come lo vivi?
Beh, la vivo come farebbe un bambino. Cioè, non mi pongo questo problema, nel senso che in realtà il modo in cui espongo le mie cose io… è difficile che sia veramente incazzato, incattivito.
Io guardo il mondo con uno sguardo talmente disilluso e parlo di tutto, di tossico dipendenza, di politica con gli stessi occhi proprio di uno che è abituato a perdere senza farmi troppi problemi. Non me ne frega un cazzo, cioè sì… ma vivo bene senza bisogno che qualcuno mi dica “bravo” perché ho detto questa cosa. Mi accorgo che magari qualcuno fa più caso a certe cose piuttosto che altre, ad esempio quando mi è capitato di suonare in posti e trovare persone che non la pensavano come me, e magari la gente fa i “visi” quando dico “qualcuno avrà messo i fascisti al governo”, ma ancora non mi è mai successo di fare a schiaffi ma, se c’è da fa’ a schiaffi si fa anche a schiaffi.
La situazione degli emergenti in Italia è particolarmente complicata, lo dimostra la totale assenza di emergenti nelle playlist di Spotify Italia e la difficoltà di trovare venue che diano realmente la possibilità di suonare: come vedi tu la possibilità di emergere in italia?
Beh, indubbiamente il fatto delle playlist per la stragrande maggioranza delle persone è una cosa su cui ci si fanno un po’ tutti delle seghe. La capisco fino a un certo punto questa cosa perché il giorno in cui scriverò una canzone perché sia playlistabile sarà il giorno che butterò la chitarra sotto dalla finestra. Personalmente non mi interessa quella roba lì: giustamente non piacerà a nessuno quello che faccio io, ma se a qualcuno piacerà quello che faccio io sarà difficile che gli possa piacere la spazzatura che c’è sulle playlist quindi… va bene. Io sono apposto. Poi te c’hai ragione, io guardo il mondo con gli stessi occhi di prima, di quello disilluso e non c’ho proprio palle di fare la guerra a questa cosa.
Io voglio scrivere le canzoni e basta.
Poi sono d’accordo con te, il problema c’è, ma è tutto collegato. Insomma, ma perché probabilmente la musica spazzatura attira di più, cioè se al cinema, al botteghino fa più incassi di tutti il Cinepanettone e non film impegnati è tutto collegato. Ma non credo sia solo in Italia, sembra sennò che sia uno che gli rode il culo… è in tutto il mondo così. Le persone hanno voglia di avere meno pensieri possibile, perché la vita è una merda per conto suo e chi ha un locale preferisce magari fare serate sicure. Magari mette della spazzatura perché sa che alla gente piace la spazzatura. Se alla gente piacesse la musica d’autore, i locali metterebbero la musica d’autore. Fra qualche anno probabilmente i locali metteranno la musica techno, perché i ragazzi vanno a ascoltare la techno. Quindi è tutto collegato. È normale. Non lo so perché è così e sinceramente… non me ne frega un cazzo.
Come ti approcci alla scrittura? Come si sviluppa la costruzione di un tuo pezzo? Hai la stessa routine? Oppure parte prima la melodia e poi il testo? Oppure il contrario?
In realtà avviene in tutti i modi che hai detto te, dipende… dipende se è un periodo che proprio a livello di penna sto scrivendo meno, magari mi metto a produrre cose, mi metto lì col chitarrino, mi metto lì col pianoforte, mi metto lì con i programmi e produco e poi dopo ci cucio sopra una melodia, un testo e tutto quanto.
Ma è la versione che mi piace di meno, sinceramente. È anche quella più difficile… venendo da ascolti di musica non italiana – non per snobbare l’Italia, questo è un problema mio che ascolto solo roba vecchia italiana – però per dirti, magari c’hai in mente una melodia, parti dalla melodia che la canticchi in inglese e quando ci vai a mettere il testo in italiano sembri un idiota.
Se parti dal testo invece, la melodia si accompagna sempre in funzione di quello e suona più naturale. È difficile che tu traduca una melodia fatta su un testo in inglese, trasformata in italiano e che sia credibile.
Quindi quella che mi piace più di tutti, e che succede più spesso, è di avere cose scritte – anche collegate tra loro approssimativamente e da lì capire che colore c’ha quella cosa lì e trovare così allora la tonalità che c’ha quello stesso colore e sopra quella cosa lì cucirci degli arrangiamenti con dei suoni che c’hanno tutti proprio quel colore lì.
Questa è la cosa che mi piace più di tutti.