Habitat, il nuovo disco dei C’mon Tigre: lo scambio è arricchimento

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Recupero intervista del 28/11/2023 Nemo Rock In Patria blog de L’Espresso

Parlare di Habitat, il nuovo disco dei C’mon Tigre, come di un viaggio musicale potrebbe risultare riduttivo per una band che milita da circa dieci anni nel panorama della musica internazionale travolgendo la lirica di contaminazioni culturali e sociali con stilemi che abbracciano l’antropologia del suono e forme musicali apparentemente poco convenzionali per il mercato musicale italiano.

Qualità, studio delle persone e dei posti che le abitano, investigando la plurime concezione mutevole del suono in stretto contatto con la tradizione popolare sudamericana. Habitat non può riassumersi a parole ed è a tutti gli effetti un’esperienza sensoriale unica. 

Ci sono ritorni importanti nel loro disco come la collaborazione con il collettivo californiano Drumetrics ma anche sorprese come Giovanni Truppi, Seun Kuti, Xenia Franca, Arto Lindsay.

In un universo che tende sempre più ad uniformarsi che ruolo svolge la vostra continua sperimentazione artistica. E cosa significa per voi esplorare stili e culture diverse?

Siamo molto curiosi rispetto a quello che ci accade intorno, e questo ci spinge ad aggiungere sempre nuovi ingredienti nel nostro lavoro, a spingerci oltre. Definiamo dall’inizio C’mon Tigre come un collettivo, una famiglia allargata, così per noi viaggiare ed esplorare significa aprirsi a cose nuove, mettersi in condizione di ricevere, di imparare ed essere arricchiti dagli altri.

In molti dei vostri brani si percepisce una necessità ad un’apertura verso un mondo che si dimentica troppo spesso delle persone che lo abitano. Ma la musica può davvero connettere persone e popoli o è solo il racconto poetico che noi facciamo di essa?

La musica può sicuramente farlo, idealmente, e nel nostro caso lo ha fatto e continua a farlo anche nella pratica. C’mon Tigre è frutto di condivisione, e di collaborazioni: queste vengono da parti del mondo molto distanti tra loro, abbiamo conosciuto persone che sono diventate nostre amiche, abbiamo collaborato, scritto e ci siamo confrontati con tutti loro. È l’idea di un lungo viaggio, sepensiamo alle zone con le quali abbiamo creato delle connessioni possiamo credere che si, il racconto poetico ha un forte riscontro nella realtà.

In questo disco avete fuso insieme elementi della tradizione popolare etnomusicologica sudamericana. Dalla samba al forrò (le più evidenti) ma nel sottobosco musicale emergono stilemi della caipira legati alla bossanova e al jazz. Che ruolo pensate possa rivestire la vostra musica per le nuove generazioni?

É una domanda a cui non sappiamo rispondere, se intendi con questo che abbiamo messo le mani su generi che potrebbero essere considerati sconosciuti alle nuove generazioni e che quindi in qualche modo la nostra musica possa essere un tramite, la risposta è forse. Ma non parliamo la stessa lingua, inevitabilmente. É molto difficile che questo accada, parliamo a persone anagraficamente più vicine a noi, che in qualche modo posseggono già queste informazioni, a cui noi possiamo suggerire un prospettiva diversa delle cose. Da noi si può imparare ad essere degli irriverenti con rispetto.

Quanto studio c’è dietro a questo disco, tra viaggi, persone e ascolti musicali e quanto è stato difficile concretizzare e unire stili apparentemente lontani al vortice musicale europeo?

Inconsciamente facciamo nostro un linguaggio, anche se non ne siamo in possesso fino in fondo; non potremmo mai esserlo del tutto, ma lo facciamo comunque, perchè in lui troviamo un alleatoper narrare un concetto, un pensiero. La tradizione brasiliana diventa per noi uno strumento, e per Habitat la migliore cassa di risonanza possibile. C’è una spiccata dose di istinto iconoclasta in tutto questo pur mantenendo un forte rispetto per le radici. Siamo grandi ascoltatori, studiamo per quanto possibile quello che non riusciamo a toccare con mano, e noi siamo sempre stati abituati aviaggiare, ma non si può arrivare ovunque e a volte è una miscela di conoscenza e invenzione a creare delle prospettive nuove.

Ma qual è davvero il vostro Habitat di riferimento?

È uno spazio confortevole, un luogo dove c’è molta energia, dove c’è interazione. Un ambiente dove si convive, dove lo scambio è arricchimento. Ci siamo immaginati i colori del Brasile, le foreste dell’America del sud, dove tutto si muove con una vitalità che lascia il segno, potente e multiforme.

Che cosa è cambiato nel vostro ideale artistico dal 2014 a oggi?

Nel 2014 abbiamo iniziato un viaggio, di certo molte cose sono cambiate e molte altre cambieranno, ma lo spirito di partenza è rimasto lo stesso, siamo in perenne apertura verso l’esterno, siamo curiosi di scoprire ed aprirci a nuove collaborazioni. Quello che facciamo è frutto di crescita costante, di mescolanza, e questo rimane ancora oggi il nostro ideale.

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