Paolo Benvegnù, artigiano autentico della musica

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Il disco d’esordio di Paolo Benvegnù, Piccolissimi Fragili Film del 2004, arriva dopo diverse attività attoriali e musicali in teatro successe dal Premio Ciampi e prima ancora da quella meravigliosa parentesi creativa alt rock che sono stati gli Scisma.

A distanza di vent’anni, per Paolo, ciò che non cambia è l’inelaudente ricerca dell’autenticità. Benvegnù è un artigiano delle parole e delle note, un alchimista che trasforma le esperienze più intime in tessuti complessi e stratificati.

Il reloaded di Piccolissimi Fragili Film, con le voci di tantissimi protagonisti del panorama musicale di oggi è in grado, ancor di più, di esplorare le sfumature dell’animo umano, non disdegnando le ombre e abbracciando le luci, dando vita a una musica che è, in effetti, un invito a riflettere e a sentire.

Ha dichiarato che il reloaded di “Piccolissimi Fragili Film” è un disco di racconti di frammentazione, volontà, liberazioni e rimpianto. E bene: quali pensa che siano le frammentazioni musicali di questo periodo storico-musicale, quali le sue volontà in termini di prospettive future e quali sono state nella sua longeva carriera le più grande libertà che si è preso? E infine: il più grande rimpianto?

La frammentazione del pensiero, la sua possibilità di essere così ondivago e molte volte contradditorio è qualcosa che non mi ha mai abbandonato. Sento per frammenti, penso per frammenti, agisco per frammenti; verosimilmente, come tutti. Scrivere canzoni mi obbliga alla finitezza e per questo mi incateno davanti al foglio bianco: per cercare interezza in un contesto di parzializzazione. Da questo, ho abbandonato ogni volontà. Non sento, né penso più in prospettiva. So solo che ogni tanto devo tornare a curarmi, così scrivo e cerco di incuriosire i miei compagni di gioco. La massima libertà è stata quando non avevo nulla e non avevo alcun ruolo: a Firenze, 2001. Il mio rimpianto è avere da sempre ceduto alla fretta e all’ansia… ma forse ho imparato a non essere più così.

In una vecchissima intervista su Onda Rock, proprio in merito all’uscita di “Piccoli Fragilissimi film”, diceva: “La fortuna è che queste cose sono state sentite da altre persone che ritengono che alcune canzoni facciano parte anche della loro vita. É un privilegio incredibile e delle volte mi chiedo se sono in grado di sostenere questo tipo di privilegio”. Oggi ha imparato a godere di questo privilegio?

Affatto. Ritengo a maggior ragione oggi che il privilegio di intercettare l’Altro e da lui essere intercettato sia cosa rarissima e delicatissima. Per questo mi sento ancora più responsabilizzato nel ricercare con più forza e con più tenacia i miei limiti, le mie contraddizioni. Perché per avere relazione, bisogna avere la giusta pace furibonda in sé stessi, ovvero, siamo sempre in metamorfosi, cangianti, è qualcosa che non trova e non troverà mai risoluzione in me. Beninteso: io, vergognosamente, ammetto di scrivere per curarmi. È casuale essere intercettati. Come in un film di Buňuel.

Nel suo studio di Prato ormai circa una ventina di anni fa ci è passata tutta una scena indipendente con una forte matrice identitaria dalla veste sonora e dagli ideali assolutamente distinguibili. Cosa è cambiato nel frattempo nel mondo degli indipendenti?

Anche qui, devo vergognosamente ammettere che ciò che io chiamavo studio era in realtà una baracca; eppure, quel luogo ha visto meravigliose intelligenze a confronto, meravigliose sensibilità. Io, come spesso accade, ho fatto il guardone, imparando dalle istanze di ognuno. A Prato c’era e c’è una creatività vulcanica che attinge realmente al fantastico, all’Altrove. In più, c’era l’orgoglio da parte di tutti gli attori in campo di essere almeno in quella ri-creazione davvero liberi nel pensiero e nell’espressione. Era ricerca d’identità. Ora, mi pare invece che tutti cerchino una qualsivoglia eredità quando lo sguardo sul mondo, affinché si possa definire tale, dovrebbe essere gratuito. Nel primo mondo, tutti professionisti. Come nel ciclismo, io preferisco gli amatori.

Paolo Benvegnu

In “Quando passa lei” c’è una frase finale lacerante che rimane ben impressa nella testa: io non so perché. Quali sono, secondo lei, i più grandi “perché” della società contemporanea?

È una grande domanda. Ho la sensazione, nel rispondere, di non avere ancora compreso se non parzialmente, se son negli effetti, la causa dell’infelicità di questo tempo. Ma in un dialogo di Interstellar ho compreso qualcosa: “sei miliardi di esseri umani, e tutti vogliono tutto”. Questa la battuta di John Lithgow, in quel contesto padre del protagonista. Il grande perché, forse è: “Perché sto male?”

Dente, FASK, Max Collini, La Rappresentante di lista, Motta, Appino: dentro al reloaded di “Piccolissimi Fragili Film” ci sono tanti amici che quindici anni fa (ma anche oggi) hanno rappresentato insieme a lei, un’alternativa al mondo musicale imposto dalle major. Oggi c’è una crisi di proposte contenutisticamente impegnate e una saturazione del mercato. Quanto è aperto il divario tra major e indipendenti oggi e quanto lo era quando nel 2004 è uscito “Piccolissimi Fragili Film”?

Uh… la forbice è sempre più ampia. Il mondo è dell’Esibizione. Continuo a pensare che seguire un gatto che vaga sia più interessante di vestirsi bene.

Ho letto le tre bonus track, ascoltandole al contrario, come un’opera unica in tre atti in cui il protagonista Ariosto, alle gioie minime preferisce i silenzi. Ha mai pensato a questa chiave di lettura? Chiaramente il colore musicale è molto diverso ma c’è un filo rosso sottilissimo che le collega tutte e tre che per me è racchiuso nella frase “abbandonarsi al respiro del mondo”.

Grazie per questa intuizione. Davvero preziosa. Mi inchino a questo. Questi brani sono uniti da un filo rosso che è l’Amore e l’Attesa: ora ne vedo pertinenza. La vita succede e lo sguardo la insegue senza raggiungerla mai. Sono grato al suo sguardo ma torniamo da capo: come posso meritare, io, così piccolo e casuale, il privilegio della sua visione?

Nel reloaded anche tre brani inediti impreziositi dalle collaborazioni di Giulio Casale, Irene Grandi e Max Collini. Ogni nuovo lavoro diventa una continuazione del precedente ma sempre con un’evoluzione che riflette la propria crescita artistica. Benvegnù rimane un punto di riferimento per chi cerca nella musica una connessione autentica.

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