Ci sono queste figure: eteree, immortali, per i più fanatici addirittura immutabili. Gli artisti, i feticci dell’industria culturale che tanto ascoltiamo, spesso idolatriamo e altre volte odiamo, ci hanno portato ad una nuova forma di divismo sfrenato. Magliette, accessori, poster, merchandising di ogni genere e live sempre più condivisibili sui social ruotano attorno alla materia prima: la musica. Il “disco”, come molti lo chiamano conferendo un’accezione concreta a ciò che non si riesce a toccare, è il centro di questo processo.

L’album musicale, dall’artista più grande fino al più emergente, è considerato uno statement che, ognuno a suo modo, contiene significato. Può voler dire affermarsi, continuare o lasciare una direzione o anche, nei casi più sfortunati, salutarsi. Recentemente è uscito SOPHIE, il disco della DJ e produttrice transgender omonima. É un progetto molto genuino, capace di offrire una visione d’insieme sulla carriera della produttrice scozzese. Cosa c’è di strano? Nulla, l’unico particolare è che SOPHIE sia prematuramente scomparsa dal 2021, a 34 anni. Tralasciando il dispiacere e il rimorso su quanto ancora avrebbe potuto offrire un’artista del genere, SOPHIE è a tutti gli effetti considerabile un disco postumo. In questo caso è stata la famiglia di SOPHIE a ricomporre i pezzi per il nuovo album; per primo suo fratello e collaboratore in studio Ben Long.

SOPHIE

Ma SOPHIE è solo un caso fra i tantissimi dischi postumi che ascoltiamo. È incredibile quanti artisti ascoltiamo ancora e non ci sono più, basta guardare dentro sé stessi (la propria libreria di Spotify) per capire quanti artisti abbiamo scoperto dopo la loro morte. Come si dice, muoiono gli uomini (e donne) ma non le idee. Ma queste idee, se ancora grezze o non rilasciate, hanno bisogno di cura e fedeltà intellettuale per essere modellate e proposte al pubblico. In questo caso il controllo da parte dell’artista, venuto a mancare, inevitabilmente è sostituito da una figura artisticamente molto vicina a ləi per mantenere un discorso fedele alla propria visione.

Spesso si decide di chiudere un discorso prima di rovinare un messaggio e la memoria dell’artista. In casi come quello del compianto Mac Miller, stella dell’Hip-Hop scomparsa a soli 26 anni, il discorso era quello di chiudere un cerchio, letteralmente. Con Circles, suo primo e unico album postumo, si chiarisce il ciclo iniziato con Swimming in un loop infinito. Appunto, Swimming in Circles. Le altre release post mortem ascrivibili a Miller sono ripubblicazioni di vecchi mixtape pian piano “ripuliti” dai diritti d’autore.

Mac Miller

Altre volte l’artista sembra essere una gallina dalle uova d’oro che, scomparsa troppo presto, dev’essere oltremodo spremuta fino all’ultima goccia di potenziale. È ciò che purtroppo successe alla discografia di Jaseh Onfroy o XXXTENTACION, anche lui scomparso nel 2018, stavolta a 20 anni. La sua discografia si ferma, con la sua penna, nel 2018 con ?, rilasciato tre mesi prima della sua morte. “Si ferma” perché il resto delle uscite ricondotte a suo nome perdono progressivamente di personalità diventando degli avanzi di registrazioni ritagliati, cuciti sopra un beat e messi assieme per formare delle compilation, non degli album. La memoria di un’artista che ancora oggi scala le classifiche ha ricevuto un trattamento artistico di poco gusto e rispetto.

SKINS e Bad Vibes Forever, i due dischi postumi di XXXTENTACION

Tirando le somme, pubblicare un disco postumo non è solo difficile da realizzare o ultimare, ma è una grande presa di responsabilità. Spesso si rischia di cadere nella trovata consumistica di turno per arricchirsi su arte non propria. A volte è meglio lasciare il mistero di “cosa potrebbe essere stato” piuttosto che un sequel di clickbait.

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