L’ultima festa del cazzo dei Marlene Kuntz
Tre date per L’ultima festa del cazzo dei Marlene Kuntz al Monk, che in fin dei conti è stata la nostra, come è nostra la band di Cristiano Godano dalla quale non possiamo e non dobbiamo emanciparci. Una sorta di rituale catartico dato dalle chitarre distorte, da giochi di prestigio con le bacchette da batteria che, in un istante, diventano un mezzo per trasformare la tastiera in un qualsiasi altro strumento che non sia una chitarra. È il potere dell’immaginazione che si fa strada nella nebbia sul palco, quella nebbia che ci porta immediatamente a Cuneo, da dove i Marlene provengono. La stessa nebbia che, per un paio d’ore, ci isola dalla realtà attuale fatta di bombe su Beirut, missili KAB, guerre come se non ci fosse un domani, specchio delle guerre intestine di ogni singolo essere umano che non trova pace, disilluso anche dal cercarla. Forse è per questo che Catartica festeggia i suoi 30 anni con un tour e un’ultima festa del cazzo perché, in fin dei conti, di questi tempi, non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare.
Allora cosa resta? Rimane da escludere la sopravvivenza per scegliere di vivere attraverso quella nostalgia canaglia di un passato musicale in cui rifugiarci. Fanno breccia nella mente i ricordi, la assalgono gruppi di adolescenti tristi che, negli anni 2000, ascoltando Catartica (un disco già bello che grandicello rispetto a loro) contemplano la bellezza della malinconia in una melodia allo stesso tempo lenta, distorta, rumorosa e incazzata che, più tardi, quando scopriranno l’indie rock, ritroveranno nelle sonorità noise dei Sonic Youth, My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain fino ai più recenti Japandroids.
I Marlene Kuntz hanno quel pubblico fatto di chi li ha visti nascere nel ’94 a chi faceva parte di quel club di millennials che li ha scoperti al liceo nel lettore mp3 del ragazzino alternativo con cui ti scambiavi i primi baci e le prime sigarette dai decini di Camel Blue. Abbiamo sentito dire tra il pubblico “ma ti ricordi quando abbiamo suonato Ineluttabile ubriachi al falò di ferragosto sulla spiaggia?”. Una domanda che ha preceduto una fragorosa risata nervosa, come a dire “come cazzo stavamo messi fratè”, quando forse è proprio grazie a quella scelta di cantare “Nessuna possibilità di condividere sfiducia. Costretti all’immobilità, noi carne esanime e sfinita” al posto di “Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi” , che siamo diventati trentenni e i quarantenni pieni di complessi sì, ma ancora in grado di pensare, di emozionarci, di saperci abbandonare ad un ricordo e di lasciarsi cullare da un fragoroso sound noise pieno di rabbia, di domande, del tipo: perché vedere e ascoltare i Marlene Kuntz oggi dal vivo ci porta a pensare e a non voler accettare che è un sound troppo vivo per essere morto?